Due volgari malfattori...

Vorrei scusarmi con i miei due lettori, uno sono io, che in questo racconto ci saranno molte note di spiegazioni ma quando avrete la bontà di leggere capirete il perchè. La storia è abbastanza complessa per la sua ambientazione e per il tragitto, "cerche", dei due "volgari malfattori"... che altro dire, buona lettura.
--------------------------------------------
 

Due malfattori volgari

Girolamo, mio fratello, violento e forte bevitore, come ho già accennato, divenne amico agli inizi della carriera, di due ladri e al bisogno, il loro, anche assassini. Vorrei raccontarvi chi erano questi due personaggi crudeli e violenti o forse solo disperati. Come si incontrarono non lo so di preciso, mio fratello non me lo ha mai detto, ma conosco bene cosa fecero loro tre per trovare i soldi che spendevano con donne, vino e droghe.

Vorrei ricordare agli ignoranti, che le droghe esistevano già da moltissimi anni anzi secoli in Italia, la più comune era l’oppio [1], ma era soprattutto l’alcool il vero motivo di preoccupazione negli ambienti poveri, e Firenze ne aveva molti. Girolamo quando divenne molto danaroso, con l’aiuto dei suoi complici, oltre ai piaceri della carne cominciò a fare uso di una bevanda abbastanza rara da trovare: l’acquavite [2]. 

Preferì sempre bere piuttosto che drogarsi perché amava stare in compagnia di altri, mentre la droga la prendeva in solitudine, buttato in un angolo al “buco” o sdraiato su un pagliericcio sporco e pidocchioso. Il loro lavoro era di "scassare" molte botteghe ricche, all’inizio si accontentavano di botteghe poco conosciute, in via dei Ferrivecchi [3], ma poi cominciarono a scassare negozi più facoltosi. In questa zona c’erano diversi negozi all’apparenza poveri, ma in realtà avevano padroni ricchi e poco propensi a dimostrare la propria opulenza, piangevano miseria per non pagare le tasse. Insomma dopo qualche anno di ribalderie, mio fratello ed i suoi amici avevano fatto una enorme fortuna, ed i loro illeciti guadagni li avevano investiti in due locande con postribolo e gioco d’azzardo, diventate in seguito molto famose. 

Queste botteghe erano situate nella zona chiamata “Frascato” [4] a Firenze. Nelle loro osterie si mangiava bene, per questo le “osterie del Frascato”, negli anni a venire vennero sempre chiamate cosi, divennero famose in tutta la città, e i buongustai ricchi ci andavano volentieri, ovviamente anche per le puttane ed il gioco. Vorrei ricordarvi che queste attività erano tutte lecite e con tutti i permessi degli “Ufficiali dell’Onestà” in regola. Però prima di arrivare ad essere un uomo quasi rispettabile è stato un capo banda temuto e pericoloso. 

Non voglio certo raccontare tutta la sua vita in poche parole, anche perché impossibile, però mi piacerebbe narrarvi come vennero arrestati i suoi più fedeli uomini, Girolamo di Carlo da Ponte a Rignano e Domenico di Gostanzo detto il “Perugino”, con i quali aveva iniziato la scalata di capo banda. La loro ultima avventura o meglio dire disavventura, è stata quando cercarono di fare entrare merce di contrabbando dal Pignone [5]. La mercanzia arrivava da Livorno e da fabbriche illegali lungo il tragitto del fiume Arno, in barconi e queste attraccavano alla Sardigna [6] di notte, perchè era il momento migliore. Passavano da qui quasi sempre, perché la zona non era molto frequentata, data la totale mancanza di luci e di controlli, ma soprattutto per il sudicio ed il fetore che sempre aleggiava sopra questo luogo, nei mesi estivi era terribile solo passarci da lontano. 

La merce illecita che trasportavano era deposta in grosse ceste caricate sui muli e contenevano quasi sempre alcool, e prodotti di lusso. … mi sono sempre chiesto se valeva la pena rischiare la vita per questo, il contrabbando era sempre punito con la morte e se unito ad altri reati c'era pure la tortura, e mio fratello con i suoi amici ne avevano molti reati da scontare. La merce veniva nascosta nel bosco delle Cascine [7], qui avevano magazzini segreti interrati, e per facilitare il contrabbando avevano comprato anche alcuni doganieri e ovviamente i “salta”. Tutto questo ben di dio veniva venduto, tramite le loro osterie, lupanari e case da gioco, con enorme profitto per ognuno di loro tre. 

Loro tre avevano creato un sistema perfetto dove i soldi arrivavano senza grandi problemi e avendo corrotto anche i controllori, mio fratello divenne la persona più temuta e conosciuta del quartiere, ma anche amata. Una delle azioni che lo resero famoso, mettendo in all’erta i birri o i volanti [8], è stata la ristrutturazione della chiesa di San Leo [9] famosa nell’ambiente delle prostitute e “bombardini”, perchè all’interno di questa veniva ospitata una loro associazione e pure il ritratto della loro patrona: Santa Barbara.

Nell’ultimo viaggio fatto da Girolamo di Carlo e Domenico di Gostanzo insieme ad altri tre uomini per prendere la merce appena arrivata al Pignone, e riempite cosi le ceste e caricati i muli, si avviarono silenziosamente verso la porta del Prato. Appena giunti li, invece dei gabellieri loro complici, trovarono una pattuglia di dodici uomini pesantemente armati, gli venne ordinato di arrendersi, non accettarono perché sapevano che punizione li attendeva, cosi preferirono combattere. Lo scontro è stato cruento, a lume di torcia, e tre contrabbandieri vennero ammazzati a colpi di alabarda, per la cronaca anche due soldati morirono nello scontro. I superstiti, arrestati, vennero portati alle Stinche per essere interrogati e torturati. I carcerieri usarono anche la “cholla” [10] ma non ottennero nulla né tantomeno ottennero una confessione. 

Non avrebbero mai tradito mio fratello... se almeno lo avessero fatto sarebbero morti senza soffrire cosi tanto. I torturatori si arresero all'evidenza dei fatti e lasciarono i prigionieri alla compagnia dei Neri per allievare le loro anime e prepararli cosi alla salvezza della loro anima. Erano stati processati e condannati, mentre loro erano svenuti, al “carro”. Mio fratello Girolamo si senti colpevole e arrabbiato per quello che era successo, sia per i suoi uomini ma anche per la merce persa. Cercò anche un modo di farli scappare, la corruzione era normale alle Stinche, ma non ci riuscì.

L’unica persona a lasciarsi comprare è stato il boia, ma serviva a poco visto che non poteva entrare nelle celle. Girolamo chiese, anzi ordinò al boia, di dare ad i suoi amici tanto oppio da renderli completamente inconsapevoli di quello che sarebbe loro successo, altro non poteva fare. Ecco la trascrizione nei registri della Compagnia dei Neri:

1 dicembre 1531

Furono due malfattori volgari (ladri ed assassini) [11]

Girolamo di Carlo da Ponte a Rignano e Domenico di Gostanzo detto il “Perugino” impiccati al luogo di giustizia nuovamente ordinato, cioè fuori dalle mura di Firenze fra la Porta a Pinti e la Porta alla Croce, alla Torre ai tre Canti [12]; furono i primi a morire in detto luogo. Feciono le “cerche” [13] le quali a farsi si cominciani al Canevaio, cioè da Lioni [14], dal Sale, in Piazza, per Vacchereggia, in Mercato Nuovo e Vecchio, al Canto della Paglia [15], lungo i fondamenti di Santa Maria del Fiore [16], e poi al Canto dei Pazzi [17], e per il Borgo degli Albizzi sino al luogo della giustizia nuovamente fatto. Furono giustiziati per avere scassato molte botteghe e per aver rubato in molte chiese e per avere di notte tempo scalato le mura di questa città di Firenze con robe di contrabbando. Nell’atto dell’essere sul Pratello [18] si svegliaro dal torpore drogato e cercarono di scappare... invano.

 

Sandrina, Poppava le donne Scambio in natura

-------------------------------------------------------------------

[1] Oppio, Coltivato prevalentemente nell'area dei paesi mediterranei più caldi, la Turchia in particolare, l'oppio si diffuse progressivamente in Asia. Nello stesso periodo in Europa, paradossalmente, si perseguitarono periodicamente, in maniera tanto dura quanto inefficace, le cosiddette "droghe coloniali": il caffè, il tè, il cacao, il tabacco. L’uso di oppio e vino accomunavano, infatti, Nerone, Tito, Nerva, Traiano e Adriano. Petronio ne parla descrivendo la famosa “Cena di Trimalcione”. E il grande imperatore e filosofo Marco Aurelio è probabilmente uno dei primi “tossicodipendenti” da oppio di cui si ha notizia. Poi si ha notizia, tramite il grande Botticelli, dove nei dipinto “Venere e Marte” ci sarebbe dipinta la Datura stramonium, pianta allucinogena usata in Italia sin dai tempi più antichi.

[2] Alcool, Gli alchimisti arabi scoprono la distillazione del vino e i primi “superalcolici”. Tra questi l’acqua vitae (acqua della vita, medicina straordinaria quasi esclusivamente riservata ai ricchi a causa dell’alto costo) che presto si diffuse in Europa.

[3] Via dei Ferrivecchi, ha origine agli angoli della Piazza del Mercato Vecchio, e di Pellicceria da San Pierino; mette a sinistra vicolo del Guanto e al Canto dei Diavoli comunica in via retta colla via delle Cipolle.

[4] Piazza del Frascato, zona Ghetto, questa piazza è dirimpetto a Via de’ Succhiellinai, ha l’origine in via dell’Arcivescovado all’angolo della Volta dei Pecori, si introduce a destra al Ghetto Vecchio mentre a sinistra in via della Nave, quindi molto vicina al Mercato Vecchio passando da Via delle Ceste da San Tommaso. Questa piazza era nell’attuale Piazza dell’Olio dietro il Palazzo dell’Arcivescovado.

[5] Pignone, qui c’era un porticciolo dove attraccavano i barconi - i cosiddetti "navicelli" - che risalivano il fiume trasportando mercanzie, principalmente da e verso il porto di Livorno, importante zona libera, la principale via di comunicazione e commercio verso la costa; la stessa etimologia di "pignone" è legata alla grossa bitta che veniva utilizzata per ancorare i navicelli.

[6] Porta a Prato, qui proseguendo per il Pignone si scendeva sul greto d'Arno alla Sardigna, Sulla riva dell'Arno dopo aver superato un vasto terreno vicino al fiume, fuori di Porta San Frediano, chiamato Sardigna, brullo e maleodorante poiché usata come discarica di rifiuti, in particolare di quelli della macellazione, sorgeva il Borgo di Verzaia che si allungava per circa due miglia su due lati di via Pisana. Sui terreni fra via Pisana e il fiume, era sorto più tardi, proprio sulle rive dell'Arno, il popolato "Borgo dei Navaioli", poi denominato del "Pignone".

[7] Cascine, il Cascine, derivante dall'antico "cascio" ("cacio"), inteso come luogo in cui si tengono e dove si mungono le vacche per ricavarne burro e formaggio. Era una tenuta di caccia e un'azienda agricola dedita all'allevamento di bovini ed alla produzione di formaggio per la famiglia dei Medici. Prima di diventare un parco era un bosco incolto che arrivava fino ed oltre all’attuale Porta a Prato ed anche scarico di rifiuti urbani, avendo vicino la Sardignia [5]

[8] Volanti, sono i soldati di guardia alle porte della città e le chiavi di queste ogni sera alle ventiquattro, ossia all'Ave Maria, venivano ritirate da uno dei quattro soldati di guardia.

[9] Chiesa di San Leo, il nome originale era San Leone ed era posta nell’omonima piazzetta di San Leo, che occupava uno slargo dell’allora via de’ Naccaioli, muove all’unione di via della Vacca con quella dei Buoni e termina nella piazza del Brunelleschi dirimpetto alla via de’ Rigattieri. Si potrebbe dire che via de’ Naccaioli corrisponde a via de’ Brunelleschi, mentre chiesa e piazzetta di San Leo erano compresi nell’area oggi occupata dalle logge di Piazza della Repubblica, all’altezza dell’Hard Rock.

[10] Cholla, Le mani erano legate dietro la schiena ed attaccate ad una carrucola. Si sollevava l'inquisito e poi lo si lasciava cadere per poi arrestare la caduta a pochi passi dal suolo. In questo modo si slogavano le articolazioni degli arti superiori e nonostante poi ci fosse un addetto al ricollocamento delle ossa, spesso restavano storpiati, e come se non bastasse venivano gettate secchiate d’acqua fredda sulla schiena del disgraziato.

[11] Ladri e assassini, per assassino si intendeva il rapinatore che per impossessarsi dei beni della vittima le usava violenza, ma non necessariamente con l’intenzione di uccidere. L’omicida, invece, era colui che provocava la morte intenzionalmente. Questa distinzione nel periodo in questione era molto importante, soprattutto nella confessione ad un prete se volevi salvare la propria anima.

[12] Torre ai Tre Canti Firenze, Tra la Porta alla Croce, e quella a Pinti non è una vera porta, ma una Torre con cinque facce, la quale si chiamava anticamente la Guardia del Maffaio, era situato nella zona dello stacco tra gli odierni viale Gramsci e Mazzini

[13] Cerche, erano i giri imposti ai condannati per andare al patibolo, lungo il tragitto venivano torturati in molti modi. Si distinguevano le cerche minori e maggiori e questo era il giro più lungo.

[14] Canto dei Lioni, o Canto degli Aranci, oggi angolo via Verdi e con Via Ghibellina, e prima ancora Canto dei Leoni: pare che questo derivasse dal fatto che qui ebbero casa i discendenti di quell'Orlanduccio salvato da una leonessa in quella che poi fu appunto chiamata via dei Leoni.

[15] Canto della Paglia, angolo tra Borgo San Lorenzo e via de' Cerretani.

[16] Fondamenti di Santa Maria del Fiore, credo si riferisca alle fondamenta forse ancora visibili del Duomo ed in seguito coperte.

[17] Canto de’ Pazzi, All'angolo tra Borgo Albizi e Via del Proconsolo

[18] Pratello, Di fronte all’attuale Caserma Baldissera era posto il patibolo cittadino. Il posto occupato dalla caserma si chiamava anche “paretaio di Nemi” almeno fino al 1529