Chiesa Santi Apostoli

Vale la pena fare una bella passeggiata verso Borgo SS. Apostoli, andate verso via Porta Rossa, arriverete in via Tornaboni, attraversando la via troverete via Borgo SS Apostoli, andate dritto dopo pochi metri troverete la chiesa del Limbo; oppure attraversando dal Lungarno Acciaiuoli, arrivando da Ponte Vecchio, lo stretto e buio Chiasso Borgherini, ci appare all’improvviso, quanto inaspettato, uno dei più suggestivi angoli di Firenze: la piccola Piazza del Limbo, poetico nome che suscita emozioni eteree, rese ancor più intense dalla facciata della vetusta chiesa dei Santi Apostoli, autentica “meraviglia” nel panorama storico della città.

In questo magico luogo è nota, ab antiquo, l’esistenza di un cimitero romano risalente al IV-V sec.d.C. “pieno di arche di macigno e di antichi monumenti”, che si estendeva lungo il fianco sinistro di una chiesa preesistente all’attuale lungo il raccordo suburbano della Via Cassia Nuova e che fu soppresso quando la famiglia Borgherini eresse in quell’area le proprie case. La chiesa venne parzialmente ricostruita dentro il recinto dell’antico cimitero dove si trovarono diverse tracce ossee di bambini morti senza battesimo, sì da giustificare il nome Limbo attribuito al sepolcreto, come attestato nel Regesto di Onorio III alla data del 9 ottobre 1217. La facciata romanica a filaretto della chiesa fu “riscoperta” durante i restauri del 1884 quando, togliendo l’intonaco consunto, apparve in tutto il suo antico, lineare splendore. Al centro, il bel portale cinquecentesco in marmo attribuito a Benedetto da Rovezzano (1474-1552) su disegno di Baccio d’Agnolo, che reca ai lati superiori lo stemma degli Altoviti, committenti dell’opera. Sopra la porta a destra, una lapide ricorda che nel 1333 morì “Dominus Ugolotto”, priore per 50 anni della chiesa. Sopra quella a sinistra, un’iscrizione latina afferma che la chiesa fu fondata da Carlo Magno e consacrata dall’arcivescovo Turpino nell’805, testimoni i paladini Orlando* e Oliviero (Appare evidente la forzatura per dare ulteriore lustro alla chiesa. Il paladino Orlando, infatti, nipote di Carlo Magno e allievo del vescovo Turpino, epico eroe di numerosi poemi franco-italiani, era morto a Roncisvalle nel 778 durante il ritorno dalla Spagna dell’esercito cristiano. Chiaro che non poteva fungere da testimone nell’805).

Che la chiesa sia antichissima è evidente: sia perchè fu costruita fuori del primo cerchio delle mura romane, sia per il basso livello sul quale si erge. Per accedervi, infatti, bisogna scendere alcuni scalini e visto che gli antichi ebbero sempre in uso di salirne diversi per raggiungere il limitare delle porte dei sacri templi, è facile intuire che il rialzamento che la circonda non può che essere l’opera di molti secoli e di molte vicende. Comunque sia, la prima menzione scritta della chiesa “Sanctor. Apostolorum”, risale al 27 aprile 1075. Nella Canonica (adesso in una nicchia della prima cappella della chiesa, a sinistra) si conservano le tre “supposte” scaglie di pietra del Santo Sepolcro portate a Firenze da Pazzino de’ Pazzi di ritorno dalla prima crociata, quella del 1099 guidata da Goffredo di Buglione. Sulla facciata di una moderna costruzione prospettante la piazza, in Borgo SS. Apostoli, una lapide ricorda lo stabilimento termale che Antonio Peppini fece edificare nel 1826 con l’autorizzazione di poter accecare, ossia chiudere, un vicolo.

Una curiosità molto divertente accaduta, sembra, in questa chiesa:

Nella sera, dalle 3 del pomeriggio di Venerdì Santo all'alba di Pasqua, le 7 del mattino della domenica di risurrezione (o risuscitamento), dette le Quarantore, il popolo dei fedeli era stipato come non mai, dato anche dalle ristrettezze del luogo .

Si sentiva solo la voce del parroco, in piedi davanti all’altare  ed il brusio dei fedeli assorti in preghiera, quando all’improvviso quella solenne atmosfera venne rotta dallo schioccante rumore di un sonoro ceffone.
Tutti si voltarono sorpresi ed allibiti; proprio vicino alla fonte battesimale c’era un messere, alto e ben vestito, paonazzo in viso e con un impronta violacea ben in vista di una manata sulla guancia.
Proprio davanti all’uomo, quasi appiccicata a lui per via della ressa, una bella popolana si era voltata e lo fulminava con lo sguardo di fuoco.
Il pover’uomo cercò di giustificarsi dando la colpa alla ressa e balbettò qualche parola “… è per via delle Quarantore…” e la donna gli rispose stizzita : “ma che c’entra il mio culo con le Quarantore!".
L’episodio, troppo piccante  e dissacrante per passare inosservato, fu sulla bocca di tutti e ben presto fece il giro della città tanto da diventare un modo di dire tipicamente fiorentino, proprio come è rimasto ancora oggi.