Dirudina, il calzolaro giustiziere.

Per li occhi fora scoppiava lor duolo;
di qua, di là soccorrien con le mani
quando a' vapori, e quando al caldo suolo:
non altrimenti fan di state i cani
or col ceffo or col piè, quando son morsi
o da pulci o da mosche o da tafani
[Inferno canto XVII, 46-48].
 
Questa storia che fra poco leggerete sarà triste e terribile anche se qualcuno ha gioito per il fatto, spero che possiate arrivare alla fine. Non so come cominciare. Mi piacerebbe presentarvi un uomo, fra i pochi, che non è stato mai cattivo con me; un giorno sparì e rividi solo le sue interiora, i suoi “quarti [1]”, i quali rimasero attaccati ai pali ed al canto del Mercato Nuovo per molto tempo. Qualcuno mi disse che morì in pace con Dio, perché prima di morire “fece un gran prego al popolo dando segno di gran pentimento con buon esempio se ne morì”. Conobbi quest’uomo quando… chiedo venia ma quando ci penso… mi commuovo. Insomma stavo dicendo? A si! quando divenni abbastanza grande da avventurarmi in altri vicoli o, con grande coraggio, riuscii ad arrivare al Mercato Nuovo. Questo posto era un “bailamme” di persone che non stavano mai ferme, non capivo, allora, cosa facevano. 
Vedevo donne vestite strane ma non mi facevano paura, anzi molte di loro avevano un buon odore, odoravano di buono, i “profumi del Rimmel [2]”. Era bello avvicinarsi abbastanza per annusarle, non dimenticherò mai quello che provai. Per molto tempo sono venuto qui solo per questo. Degli uomini devo dire che non mi prendevano a calci per scacciarmi, visto il mio aspetto deperito e sudicio e con gli occhi cattivi come quelli del “Malvagio” - così mi dicevano tutti lì al “Buco” – ma non li al mercato, anzi, alcuni di quei buoni messeri mi davano, qualche volta, una monetina di rame o un dolcetto… ricordo bene ciò che provavo, ero sospettoso e non capivo… ma era bello… così vicino ma tanto lontano dal buco, qualcosa stava cambiando dentro di me e non era un bene. Non mi salverò dal mio fato già scritto…Sarà meglio ritornare alla persona di cui vorrei raccontare la sua triste e tragica istorija che lo porterà sul “carro [3]”.
Giovanni di Iacopo Morosini di anni 42 chiamato da tutti “Dirudina”, un uomo mite, faceva il ciabattino e lo “scarpellinaio [4]” con passione sotto le logge del Mercato Nuovo a Firenze. Ogni giorno, con qualsiasi tempo, arrivava a capo chino e, prendendo, con meticolosa attenzione, i suoi preziosi attrezzi, lentamente si sedeva su una traballante cassa e cominciava a sgobbare [5] arrivando così a fine serata, dolorante ma contento. Questo rituale si ripeteva giorno dopo giorno, anno dopo anno, fino a quando succede qualcosa… ma cosa? Ad ogni persona alla quale ho chiesto spiegazioni mi ha dato una o più versioni del fatto. 
Chi mi diceva che era impazzito, un altro dava la colpa ai debiti, altri invece dicevano che lo aveva fatto per tutti noi poveracci, altri invece era un pericoloso assassino, altri mi dicevano, facendomi tremare di paura, che era stato posseduto dal demonio. Non lo sapremo mai con certezza, anche adesso, essendo morto, non riesco a trovarlo, è qui… lo so… è con me, ma non lo trovo. Ma non importa, quando ci sarà il Giudizio Universale lo troverò. Io comunque vi narrerò il fatto come mi è stato raccontato, e non dimenticate che ero poco più di un bambino ed erano molte le cose che non capivo.
Come ho già detto, tutte le mattine “alle ore debite” il buon Giovanni arrivava e si metteva a scarpellinare per preparare la pelle che avrebbe usato per le sue belle pianelle [5] molto in voga in quel periodo, che qualcuno, sicuramente avrebbe comprato. Col capo chino ed il suo canticchiare non destava nessuna preoccupazione, cosi molte nobili persone si fermavano nei pressi e parlavano senza pensare che qualcuno potesse ascoltarli. Questi nobili e giovani signori parlavano solo di come era facile “… di rincarare e’ prezzi delle farine, grano, vino, carne” per avere enormi guadagni. La spregiudicatezza di questi usurai provocò al ciabattino un’ira così forte e incontrollabile che cominciò a pensare di come farla pagare a questi manigoldi. Una sera, dopo avere riposto i suoi preziosi attrezzi con la solita cura, e mentre si stava avviando verso casa vide uno degli usurai bricconi. Decise di seguirlo e con grande meraviglia mista a rabbia e odio, vide che entrava in un bel palazzo con tanto di valletti e schiavi… - Dio non li punisce per le loro ribalderie, maledetti – forse pensò questo e non riuscendo a fare sbollire la rabbia decise di agire. 
I giorni che seguirono furono febbrili, la sua coscienza, essendo un buon cristiano, si ribellava alla vendetta… - la vendetta è solo mia gridava il Signore Iddio – ma Dio non agiva. Una sera, all’imbrunire, segui l’usuraio fino a casa sua e con pazienza aspettò che egli uscisse per andare a bagordi, come sono soliti fare quel tipo di persone. Il giovane e nobile usuraio, uscito, si avviò verso la “Baldracca [6]”, ed appena entrato in un vicolo buio e “diserto”, Dirudina lo aggredì. La lotta che seguì divenne così furibonda e confusa che, il nostro ciabattino, non si rese conto di avere in mano una “lesina lunga [7]” e con quella colpì con rabbia, molte volte, fino a quando l’usuraio smise di difendersi. Spaventato da ciò che aveva fatto scappò verso casa sua, e dopo essersi calmato prese il suo cane e lo portò a fare una passeggiata. Oramai la rabbia lo aveva soggiogato. 
Il giorno dopo tornò al mercato come niente fosse successo, arrivato lì si rese conto che tutti parlavano di quello che era accaduto all’usuraio, molto conosciuto nella zona, ma il ciabattino si rimise, senza nessun tremore, tranquillamente a lavorare. Dopo qualche giorno tutto tornò alla normalità e gli usurai continuarono a parlare dei loro propositi senza preoccuparsi di Giovanni di Iacopo Morosini. Quando “sentiva queste proposizioni, cuciva e nel tirare lo spago diceva: dirundina dirundina te n’avvedrai domattina, adocchiando que’ tali usurai, e gli appostava e con queste proposizione diaboliche procurò andare avanti e durò molto tempo e arrivò a segno d’ammazzarne 25 o 30 persone si che non si era scoperto mai nulla perché le faceva troppo pulite”. Una sera però commise uno sbaglio che lo portò sul carro, portò con se il suo cane. 
Quando cominciò a dare lesinate ad un altro usuraio, fece troppo rumore, e mentre accorrevano i servitori del morto lui riuscì a scappare, ma scappando però da un’altra porta lasciando il suo cane legato, grosso errore. Tutti conoscevano il cane e chi era il padrone, Dirudina il ciabattino. La sera stessa lo andarono a prendere e lo carcerarono alle Stinche, il giorno dopo fu processato e condannato alla “forca e squarto e fu subito eseguito la pia sentenza”.
Giovanni di Iacopo anche mentre andava a morire non confessò mai i suoi delitti e mentre stava salendo le scale che lo avrebbe portato sulla forca, il 28 febbraio del 1512, chiese di dire qualcosa, “il prego che fece fu questo, disse: Fratelli e sorelle qui presenti, vi prego voi facciate quello che non ho potuto fare io. Dispergete questi bricconi d’usurai, che se io non morivo, volevo dispergerli tutti, bisogna che io per ora abbia pazienza… ditemi un pater noster et un ave maria, e questo fu il prego che fece questo uomo Dirudina”. Cosi finisce la storia e la vita del ciabattino Giovanni, ma la sua leggenda sopravvisse rimanendo per molto tempo nell'immaginario fiorentino [8]. 
 
Si, quei rispose, vo’ avete ragione,
Troppo cheto rimasi a tante ingiurie;
Ma squaterommi, e Perbacco Baccone
Se mi saltano addosso le mie furie,
Sangue d’un rospo! Pelo di faina!
Fo’ un giorno… Dirundina Dirundina
[9]
 
 
[1] Quarti, pezzi del corpo squartato del condannato appesi o attaccati agli alberi o ai canti. Era un terribile monito per la gente.
[2] Profumi di Rimmel, modo di dire molto più recente del fatto accaduto, ma mi piaceva l’idea di usarlo. Nel periodo del personaggio come profumo, 1512, si usava alcol con petali di rosa macerati o più probabilmente la lavanda essendo a buon mercato. Il profumo non era per tutti, ma molte donne lo usava anche se la chiesa lo guardava con sospetto. Vorrei ricordare che Caterina de’ Medici portò con se in Francia Renato (o Réné) il Florentin grande profumiere di Firenze.
[3] Carro, mezzo con il quale il condannato veniva portato al luogo della sua morte. Perciò quando si diceva: è sul carro, stava a significare che era stato condannato a morte.
[4] Scarpellinaio, colui che batte il cuoio o la pelle per renderla più morbida.
[5] Pianella, calzatura con tacco basso o senza tacco, priva di allacciatura, usata anche come scarpa di lusso, per uomo o per donna del XVI secolo
[6] Baldracca, una delle zone di Firenze dedite interamente alla prostituzione, da via della Ninna fino ai Lungarni dove ci sono adesso gli Uffizi compresa Via Castellani.
[7] Lesina, Arnese del calzolaio, costituito di un grosso ago ricurvo e assai appuntito.
[8] Giovanni di Iacopo Morosini e le sue parole rimasero per secoli nella memoria dei fiorentini e le parole “far dirudina” presero il posto di “dare una coltellata a tradimento” almeno fino alla fine del 1800, ora completamente dimenticato.
[9] Il Poeta Ciabattino, canto XXVIII Opere in Canti e in Prosa Del Dottor Filippo Pananti, all’Insegna della Speranza, 1831, Firenze