Donna Fiorentina dell'XI e XII secolo

Della donna fiorentina nei secoli XI e XII, all’inizio dell’italico Comune, non potremmo desiderare più autentica immagine né più efficace. Nella mirabile rappresentazione che, tra i fulgori del cielo di Marte, Dante fa del vecchio Comune fiorentino, ponendone sé stesso ascoltatore devoto e commosso dalla bocca di Cacciaguida degli Elisei, cavaliere e crociato, alle memorie cittadine, ai titoli gentilizi, ai desideri ai rimpianti della vita civile, antecedono le ricordanze casalinghe, gli affetti soavi della famiglia, le santità della culla e della tomba.

Su tutte queste figurazioni, che fanno di quel canto del Paradiso un vero idillio domestico, diffonde la sua luce, mite e modesta regina, la donna. E non la donna idealizzata dall'amore e dall'ingegno, Beatrice in quell'episodio si sta in disparte, e solo accompagna con benigno sorriso il colloquio fra l'Alighieri e il trisavolo, ma la donna del focolare, la compagna della vita, quella che con l'uomo, suo amore ed orgoglio, partecipa le gioie e i dolori, che gli guarda l'avere, gli educa i figli, lo conforta al bene e lo fa degno, lo affida nelle avversità e nei pericoli, soccombente lo ancora, nelle vittorie lo frena, gli fa quieta e riposata la casa perché la patria lo abbia cittadino operoso. Alla custodia di lei sono commesse le due virtù che il Poeta pone come principali del vivere sociale, parsimonia e pudore:

Fiorenza, dentro dalla cerchia antica, ....

si stava in pace sobria e pudica.

Non cerca sfoggio d'ornamenti,

che fosse a veder più che la persona. [1]

È allegrezza e consolazione della casa dove lei è nata, e che non muterà con quella dello sposo, se non a tempo debito, ed  accontentandosi, essa e l'uomo che riamato ama lei, di dote ragionevole, cosicché «né il tempo né la dote faranno al padre paura». L'austerità del costume le risparmia le frivole cure e gli artifici trovati di bugiarda bellezza: ella «vien dallo specchio senza il viso dipinto» e «contenta al fuso e al pennecchio», prepara di propria mano i semplici vestiti del marito. Un solo amore comprende nell'anima sua la convivenza non interrotta con esso, e il luogo del comune estremo riposo nella dolce terra nativa. Questo sentimento che il Poeta chiama «la certezza della sepoltura», e «Oh fortunate!» esclama con una di quelle note che insegna l’esilio. La giovine sposa «veglia a studio della culla», e acquieta e sollazza la sua creatura, mentre la nonna, filando, racconta ai grandicelli le luminose leggende delle origini italiche e della potenza latina,

favoleggiando con la sua famiglia,

de' Troiani, di Fiesole e di Roma: [1]

però che essa, la donna del Comune italiano, indovina e sente che questo è l'erede e il rinnovatore legittimo di quel glorioso passato e nel nome augusto di Roma, che i fanciulli imparano dalle labbra materne a chiamare madre della loro città, sublima il concetto della patria in quelle tenere menti, e ve lo impronta non cancellabile.

Dico, la donna del Comune italiano e quel che dalla storia di Firenze vedrò, di figure femminili, delineando e colorendo, s'intenda che sia in gran parte com' un ritratto della donna italiana nella vita de' nostri Liberi Comuni. Però che anche rispetto a questa gentile immagine del nostro passato, le diversità e le contingenze regionali sottostanno alle ragioni di somiglianza, anzi alla identità di certe generali condizioni storiche, entro le quali si rimase involuto fino ai giorni presenti il benaugurato germe della unità nazionale. Senonché la storia di Firenze è forse la più ricca di qualsiasi altra delle città italiana, rispetto a notizie e documenti di carattere particolare e domestico, è altresì quella, dove, per le ragioni della lingua, anche tale ordine di fatti e di cose sia stato rappresentato con maggior larghezza, e sia più universalmente noto, per opera di storici, di novellatori, di trattatisti, di poeti, di comici, che la città non tanto ha avuti quanto dati alla nazione, inteso sempre nel periodo del XI e XII secolo.

 

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[1] Paradiso, canto XV, Dante Alighieri.