Il Farsettaio e sua figlia (parte terza)
− Siamo arrivati – guardandomi di traverso mi dice serio – hai giurato vendetta, ed i giuramenti sono sacri – mi guarda duramente e continua – mai romperlo, mai… ricordalo, sei mio fratello ma se lo fai ti uccido – prima che io possa replicare, mi gira le spalle e si allontana.
Lo seguo con lo sguardo e vedo che entra in una grande casa, ben tenuta e con un piccolo orto di fianco e qualche maiale in un recinto un po’ discosto dalla casa. Strano, chissà di chi ci vive. Che pensieri assurdi vengono in quei momenti di forte paura.
− Deciditi − mi dico, con forza – hai giurato – continuo a dire a me stesso cercando di convincermi. Comincia a piovere. Sento uno sguardo cattivo su di me. Mi giro. Mio fratello mi guarda. Lo fisso. Non dice nulla. Mi terrorizza. Entro dentro. Non vedo nulla.
C’è un po’ di luce, diverse torce imbevute di grasso rendono visibili ombre, e quelle vengono verso di me. Terrorizzato indietreggio. Non mi degnano di uno sguardo. Le riconosco, sono uomini di mio fratello. Vanno verso l’uscita. Uno di loro mi mette in mano, con forza rabbiosa, un coltello, molto più tardi venne a sapere che era il preferito di mio fratello. Escono, silenziosi, chiudendo dietro di se la porta. Rimango insieme a due figure nere che mugolano e cercano di liberarsi dai legacci. Li guardo. Mi vedono. Aumentano il mugolio, mi disturba. Li odio perché so chi sono. Titubante mi avvicino a Mariotto, il garzone di padrone Jacopo. Lo guardo, anzi sento puzza di paura. Sorrido mentre lo guardo, si è riempito di merda e pisciato addosso. Si divincola, cerca di liberarsi, non ci riesce. Gli uomini che lo hanno legato sanno fare il loro lavoro. Giro la testa e vedo suo padre, silenzioso mi guarda, anche legato sento la sua malvagità. O forse è soltanto una scusa per quello che farò, voglio apparire innocente a me stesso e al buon Dio? Mi sta fissando, mi sfida… lascio Mariotto ai sui suoni irritanti e lentamente mi avvicino a lui, non certo per paura ma per avere un po’ di tempo in più per pensare. Non ci riesco.
Il coltello che ho in mano mi pesa, riuscirò ad alzarlo e colpire qualcuno? A fatica lo punto verso il vecchio. Mi fermo. Lo fisso. I suoi occhi mi deridono. Non capisco. Non ha paura. Crede che sia un pauroso vigliacco. Sono certo che si sbaglia, mi dico con poca convinzione.
─ Maledetto, perché hai ucciso Ginevra? ─ gli urlo sul viso mentre lo colpisco al braccio con poca convinzione col coltello ─ adesso cosa dici di questo? Fa male? ─ guardo con interesse il sangue che esce dalla ferita ─ rispondimi, diavolo, perché hai ammazzato Ginevra? ─ aspettando che mi dia una risposta, colpisco ancora al braccio ─ dimmelo!!! ─ lui continua a mugolare, comincio a vedere la paura nei suoi occhi, si divincola. Io lo guardo e sorrido, capisco perché non risponde, ha un cencio sulla bocca che gli impedisce di parlare. Non so se faccio bene a farlo parlare e se comincia a d urlare?
─ Se urli ti ammazzo, hai capito? ─ gli sussurro in un orecchio, mentre gli tolgo il bavaglio con il coltello premuto alla gola, ─ se urli ti taglio la gola ─ ripeto in un sussurro. Non ci riesco, il nodo è stretto, allora infilo la lama fra il cencio e la guancia e comincio a tagliare. Ancora oggi non capisco cosa è successo, invece di tagliare lentamente dò uno strappo con violenza. Uno schizzo di sangue mi bagna la faccia, gli ho tagliato un pezzo di orecchio. Il vecchio bastardo urla di dolore. Trovo la scena divertente, rido, rido, rido… mi manca il fiato.
─ Hai paura vecchio? Senti male? ─ gli dico ridendo ed eccitato dal sangue che mi cola sul viso ─ non fai più lo stronzo, vero? ─ mentre parlo il sangue mi entra in bocca, ne sento il sapore… Vomito.
Sono senza fiato, respiro a fatica. Il disgustoso e dolce sapore del sangue mi eccita ancora di più. Non riesco a fermarmi. Afferro con violenza l’altro orecchio e con un colpo netto lo mozzo. Vedo il sangue uscire con forza bagnandomi ancora di più, invece di fermare la mia follia, aumenta la mia pazza euforia. Il vecchio urla, almeno credo, vedo solo la sua bocca aprirsi senza sentire alcun lamento.
─ Maledetto, maledetto vecchio diavolo, ho appena cominciato ─ le dico con cattiveria e odio ─ urla assassino, urlaaa ─ lui mi guarda e non dice nulla, il suo viso gronda sangue nero. Pensavo fosse rosso ─ mi avvicino e chiedo: ─ perché hai ucciso Ginevra? Non poteva farti male ─ continuo con voce roca ─ era piccola e bella, non avevi bisogno di ucciderla ─ lui apre un occhio e a fatica e con quella bocca schifosa, mi dice sussurrando: ─ Aveva una fica troppo stretta ed il buco di culo troppo piccolo, mi sono fatto male ─ ridendo, continua ─ urlava troppo, mi dava noia, mi sono divertito a tagliarla ─ continua ridendo.
Lo guardo con odio furibondo ed urlando, lo colpisco col manico del coltello, sviene, gli apro la bocca e gli afferro la lingua ─ ora smetterai di parlare di lei, verme ─ con un colpo deciso le taglio la lingua ─ stai zitto maledetto ─ grido col poco fiato rimasto.
Vedo la sua bocca riempirsi di sangue, respira a fatica, sputa sangue… mi fa orrore ma sono felice… quegli occhi non smettono di fissarmi… e mentre lancio un urlo ─ basta, smettila di guardarmi ─ senza sapere come, vedo il manico del mio coltello spuntare dalla sua pancia. Guardo senza capire, come in un sogno. Impaurito afferro il coltello con rabbia e lo estraggo ─ che cazzo succede ─ comincio a gridare preso dal terrore e mentre vedo le sue interiora uscire dallo squarcio, urlo senza parole ─ Dio Onnipotente, aiutami, cosa ho fatto? ─, faccio un salto all’indietro per evitarle, scivolo sul sangue e frattaglie oramai sparsi sul pavimento, “e caddi come corpo morto cade” [8]. Mi rialzo immediatamente, imbestialito, rabbioso e odiando quel vecchio assassino, alzo il coltello e con un colpo violento le ficco la lama nel collo. Il mio sangue si mescola col suo. Urlo di dolore. Mi rendo conto che mi è scivolata la mano sulla lama, a causa del viscidume, e mi sono squarciato il palmo della mano. Mi fa male, incolpo il vecchio per il dolore, così comincio a dare calci a quel corpo oramai distrutto ed irriconoscibile. Il mio fiato sibila, cerca di uscire ma non è facile con la bocca chiusa.
Finalmente tutto tace, e mentre mi allontano vedo il coltello piantato nel collo, che divertente… comincio a ridere, la scena mi provoca divertimento… sono impazzito… voglio solo scappare e, quando penso di farlo, sento un rabbioso agitarsi in un angolo buio del mulino… mi spavento, ma poi ricordo… Mariotto. Cazzo. Lo avevo scordato, ora cosa faccio? Mio fratello mi ha detto che nessuno dei due può uscirne vivo, o per noi sarà il “carro”.
L’eccitazione che l’odore del sangue mi ha provocato è finita. Mi sento così stanco che non so come ho fatto ad avvicinarmi a Mariotto. E’ terrorizzato, continua a divincolarsi e cerca di dirmi qualcosa. Io non lo capisco e non ascolto più, sono a pezzi. Voglio solo buttarmi da qualche parte e dormire, per tanto tanto tempo. L’eternità sarebbe il tempo giusto. Continuo a guardare quel corpo che si agita. Sulle sue braccia il sangue cola e non ne capisco il motivo. Cerco di capire, vorrei colpirlo per farmelo dire, ma la mia mano ferita mi pulsa e sanguina. Sto male. Cerco di chiamare mio fratello, ma non ho voce. Mi si appanna la vista, cado in mezzo alla farina e sangue il tutto impastata di merda e piscio, rimango a lungo stordito. Sento la porta aprirsi. Mi hanno trovato, finirò sul carro. Dico parole senza senso ─ non sono stato io, ma lui, Nostro Signore mi ha detto di farlo, sono innocente ─ mi rendo conto che nessun suono esce dalla mia bocca, tutto è nella mia testa. Provo ad alzarmi, ma le gambe non reggono e pesantemente casco. Mentre sono a terra ho la forza di girare la testa e con grande sforzo apro gli occhi ─ Girolamo aiutami, ti prego ─ lui si avvicina e mi getta dell’acqua fredda, ho un sobbalzo, non respiro. Annaspo senza fiato. Dopo il panico stranamente mi sento meglio.
─ Perdonami, non ce l’ho fatta ad ammazzarli entrambi, perdonami ─ mi rannicchio aspettandomi di essere picchiato.
Lui si china e mi dice calmo ─ sei stato bravo, era la prima volta per te, hai fatto ciò che dovevi ─ io lo guardo spaventato e sussurro ─ non sei arrabbiato? ─ Girolamo mi guarda serio e poi sorride ─ mi hai reso orgoglioso di te, ora sei un uomo e sarai rispettato ─ adesso ride allegramente ─ dormi, fratellino, ora ci pensiamo noi, cancelleremo ogni traccia ─ Io cerco di ringraziarlo, ma lui mi ferma ─ riposati ti ho detto! anche quel ragazzo sparirà, non ti devi preoccupare… ora basta chiudi gli occhi e non pensare, quando ti sveglierai starai bene, credimi, molto bene ─ sorrido felice per avere un fratello cosi. Vorrei dirgli tante cose, ma sono debole e, poi, mi ha ordinato di dormire. Non sono mai stato così lieto di obbedire. Sprofondo felice in un sonno malato, maledicendo tutto e tutti. Gridando a me stesso che sono un mostro, un sanguinario mostro.
Ma non mi interessa, ho dato la mia anima per Ginevra, solo lei capirà.
Ciò che successe dopo lo racconterò un’altra volta, altre avventure, altra disperazione e altro odio.
Ogni volta che vedo la mia faccia attraverso un secchio pieno d’acqua oppure da un oggetto levigato, lucido[9], riesco a vedere lei, Ginevra. Lei è dietro di me... non ho paura. Voi invece dovreste, perché quando sarete in mano mia vi prometto che l’avrete. Non posso dimenticare e mai lo farò… tutti dovrete piangere e soffrire per quello che sono diventato e, giuro su Dio, che lo farate. Ogni uomo o donna che soffrirà per mano mia, come ultima parola sentirà: Ti odio. Manderò tutti a fare compagnia a Ginevra, chiunque, e la cercherà per me e dovrà dirle che io non l’ho dimenticata. Non la rivedrò mai più, le nostre strade si sono separate per sempre, lei in paradiso ed io all’inferno, ma saprà che io la ricorderò.
Indomabile. Eterna. Paura. Oramai ho accettato il mio destino, ma voi, maledetti, accetterete il vostro quando vi avrò in mio potere?
Fine per ora
[8] e caddi come corpo morto cade, estratto dal Canto V della Divina Commedia di Dante Alighieri.
[9] Specchi, nel XIV secolo a Venezia si producevano unendo una lastra di cristallo lucidato con fogli di stagno e mercurio: i sottili strati di stagno venivano uniti al vetro tramite un bagno di mercurio ed esercitando pressione; tale processo era costoso e complesso, rendendo lo specchio un prodotto di lusso.