Il Farsettatio e sua figlia. (parte seconda)
Alcol… droga… ancora droga e ancora alcol… mi sono buttato su un mucchio di paglia sporca e pidocchiosa e ho cercato di dimenticare, voglio dimenticare, che altro mi resta se andare verso la notte eterna, voglio morire ma non succederà… la vendetta è più forte, mi tiene vivo… un tugurio sporco al “buco” mi ha accolto con abbraccio mortale. Mio fratello mi ha tenuto prigioniero per evitare che io scatenassi il male che sento… non lo ha fatto certo per bontà ma solo per proteggere i suoi misteriosi e soprattutto loschi affari. Lui vuole stare sconosciuto ai “birri” perché ha dei progetti ed io potevo distruggerli se mi avessero arrestato… bastardo figlio di meretrice… ma ha ragione… gli affari prima di tutto.
Passano i giorni. Senza un presente né un futuro. Voglio dimenticare… ma riesco solo a fare crescere la mia rabbia, il mio odio. Non dimenticherò
– fratello maledetto, cane rognoso – ogni giorno gli urlo contro, raucamente e sgarbatamente – maledetto, maledetto – lui invece continua a dirmi – lo troverò il tuo uomo, dammi tempo, lo troverò – diceva senza arrabbiarsi – te lo giuro, avrai la tua vendetta –.
Ho continuato a vivere, se si può chiamarlo così, così per settimane, credo, non ho mai contato il passare del tempo… chi sopravvive non lo fa. Così giovane ma tanta violenza in me, tredicenne, non certo inesperto. Al mercato vecchio o si diventa furbi o si muore.
– trovati, te li ho trovati – urlò una mattina Girolamo arrivando di corsa, mentre mi afferrava con violenza per il mio “farsetto”, ultimo regalo della mia padroncina, mi alzò di peso e cominciò a scuotermi – svegliati, bastardo figlio di puttana… svegliati – col sua brutta faccia vicino alla mia, continuando ad urlare: – svegliati, muoviti, il sangue ti aspetta – ricordando con cattiveria – lo hai giurato –
– bastardo lasciami – riesco a dire con voce devastata dall’alcol e droga… accettando il mio ordine, mi lascia gettandomi con forza sul pavimento. Urlo di dolore. Mi scuoto, sveglio… dolore… e le parole che urlate prima ritornano alla mente – trovati, te li ho trovati – il dolore, alcol, droga… tutto passato, trovo la forza di alzarmi, e con voce bassa e piena di odio dico: – trovati? Più di uno? Quanti? E dove sono, dove sono, dimmelo – ripeto con monotonia e forza – rispondimi, rispondimi, rispondimi – mio fratello incazzato mi schiaffeggia senza cattiveria. Mi calmo. Aspetto nell’angolo dove trovo rifugio.
– sono due, padre e figlio – mi dice con calma e con divertimento – ed uno lo conosci – non capisco, chiedo io – lo conosco? Chi è? – sorridendo con divertimento mi risponde: – il garzone del farsettaio, Mariotto –
Non capisco, non posso crederci, e lo dico – non ci credo, non è cattivo – dico ancora non convinto – sono abituato a riconoscere quel genere di persone – lui, interrompendomi, ribatte con cattiva convinzione – è stato suo padre, lo ha convinto a portarla al mulino e li è successo il fatto – continua – quel bastardo le ha rotto “la natura” ed il culo con violenza, divertendosi così per qualche giorno, ed alla fine le ha tagliuzzato il corpo con un coltellaccio – Girolamo senza fermarsi a prendere fiato, continua – quando non poteva più deflorarla perché era solo carne squarciata, piena di ferite sanguinolente, gli ha tagliato la gola con un colpo, e – finisce di parlare, senza inflessioni e con fredda sincerità – poi gettata nel fossato in pasto ai cani randagi, ma questo lo sapevi, è così che l’hai vista – dopo queste parole si zittisce ed aspetta.
Ho la gola secca. Ho bisogno di bere. Non riesco a muovermi. Lacrime di rabbia. Non riesco a pensare. Troppa sofferenza. – TU… come fai a saperlo – chiedo con finta calma a mio fratello – come fai? Dimmelo – parlando con durezza.
Mi guarda, e guardandomi negli occhi con sfida – non è stato difficile, con me tutti parlano, tutti… mi conosci bene… fratello –
– e la mia vendetta? – replico con violenza – ti ucciderò se me l’hai tolta – continuo con rabbiosa rabbia – ti ucciderò –
Lui mi guarda e scuotendo la testa ride con allegria, mostrandomi quei denti così aguzzi – stai tranquillo, ti stanno aspettando – ride ancora di più – legati e disponibili, tutti per te – ride maliziosamente.
– g… g… grazie – dico balbettando con un filo di voce. Paura. Farò ciò che devo.
Sarò capace di ucciderli? Il mio odio sarà abbastanza forte? Sarò cattivo abbastanza? Oppure tutti i miei desideri di vendicarla saranno vani.
Girolamo. Ride – stai tranquillo, ce la farai – dicendomi con voce fredda, intuendo le mie paure – altrimenti dovrò farlo io, non devono vivere, sanno chi sono, capito? – continuando a parlare e guardandomi con quegli occhi cosi inespressivi e cattivi… lui non cambia mai espressione. Non ha emozioni quando uccide. Un colpo. Tutto finisce. Tutto dimenticato. Tutto ricomincia. Questo è mio fratello. Lo amo.
Con difficoltà ritrovo la calma, ma dentro sono un fuoco, brucio: – dove sono prigionieri? – chiedo con un po’ di titubante paura.
– Sono al mio mulino, in San Niccolò – mi risponde divertito – posto tranquillo, nessuno ti disturberà – il bastardo continua a ridere senza ritegno.
Lo guardo senza dire nulla. A cosa le servirà un mulino, penso, non è un panificatore o un lanaiolo[1]? Meglio non chiedere, preferisco non approfondire se non è lui a dirmelo.
“Adesso mi devo fermare un po’, colui che scrive ciò che gli detto e lo traduce in un italiano decente, mi ha informato che tutta questa violenza lo intimorisce ed intimidisce. Sarebbe morto “in un fiat” [2] se fosse vissuto nel mio tempo. Va bene piccolo uomo, prendi fiato. Io ho l’eternità a disposizione, tu no. Però hai ragione, quello che dovrai ancora sentire non sarà facile. Ricorda però dovrai trascriverli come dico io o sparirò.” Ti sei ripreso mio unico amico? Scusami se sono cattivo con te, ma sono fatto così.
Per favore continuiamo o non avrò il coraggio di raccontare ciò che ho fatto, è doloroso ricordare.
Dopo che mio fratello è venuto da me per dirmi che li aveva trovati, grazie fratello ho un debito con te, ho cominciato a pensare in che modo farli soffrire. Questi pensieri mi venivano mentre mi sto incamminando verso Porta San Niccolò [3]. Girolamo mi accompagna, sta calando il buio, è l’ora dei ladri, dei ruffiani e delle puttane. Tutti loro quando lo vedono abbassano gli occhi, annuso la loro paura. Lo temono, ma non temono me, ma lo faranno.
Attraversiamo il Ponte Vecchio[4] l’odore è nauseabondo. Il passaggio è sporco di merda e piscio e sangue. Scansiamo ogni genere di rifiuto. Non mi interessa di vedere nulla. Tiro dritto. Le urla delle bestie che annusano la morte. Il sangue che cola nel fiume arrossando le sudicie acque. I beccai sporchi di sangue fanno presagire ciò che io diventerò. Non riuscirò mai a dimenticare quell’odore, quelle immagini… mai… inutile tentare di lavarmi, mi rimarrà per sempre. Continuiamo a camminare più velocemente, sta piovendo. Tutto diventerà fango sudicio. Costeggiamo il fiume, vedo la chiesa di Santa Maria Sopr’Arno[5] e velocemente, ma con poca convinzione, mi faccio il segno della croce e chiedo perdono a Dio. Non lo avrò mai, lo so. Non passo spesso da quelle zone non le conosco. Mi guardo intorno con attenzione, scuto le persone. Non mi piace qui. Catapecchie dove esce un po’ di luce. Cattivi odori. Troppi vicoli bui. La morte è di casa e si nasconde nel buio. Guardo Girolamo, cammina senza guardare. Non ha paura. Velocemente arriviamo al mulino, alzo gli occhi e vedo la massiccia porta[6] e le enormi mura. C’è movimento sotto le mura, fra poco chiuderanno l’entrata e tutto si fermerà fino all’alba di domani. Rimarranno solo le ronde dei salta [7] e dei “birri”, alcuni di loro sono al soldo di mio fratello. Corrotti e violenti con i deboli. Maledetti.
Qui un piccolo borgo operoso vive lavorando onestamente, anche se in seguito seppi che tutti lavorano per mio fratello. Non ha solo attività illegali. Intelligenza e scaltrezza ma soprattutto mancanza di scrupoli, lo renderanno molto potente. Racconterò le sue storie in seguito. Arrivato lì non ha parlato con nessuno, a parte qualche saluto distratto, fino a quando non arriviamo davanti al suo mulino.
[1] Panificatori e Lanaioli, In questi edifici "industriali", già appartenenti alla Corporazione dell'Arte della Lana, si gualcavano e si follavano - ovvero si battevano per ammorbidirle - le stoffe di lana bagnate, invece per i Panificatori era il posto ideale per macinare il grano e fare la farina.
[2] In un fiat, in questo contesto ha come significato: in un attimo. Frase biblica, pronunciata dal Creatore dell’Universo quando creò la luce. La si usa per sottolineare il sopravvenire di un chiarimento in questioni controverse, oscure, dibattute.
[3] San Niccolò, Già nel 1200 la pescaia di San Niccolò aveva la duplice funzione di bloccare gli eventuali attacchi nemici via Arno, impedendo il passaggio delle barche, e creare un salto dell’acqua che potesse azionare i mulini e le gualchiere che sorgevano sulle rive vicino alla pescaia. Subito sotto la Torre di San Niccolò c’erano i mulini per la panificazione e altri opifici, oltre ad un piccolo borgo abitato dalle persone che ci lavoravano.
[4] Ponte Vecchio, Nel 1442 l'autorità cittadina per salvaguardare la pulizia e il decoro, impose ai beccai (macellai) di riunirsi nelle botteghe sul ponte per renderli un po' isolati dai palazzi e dalle abitazioni del centro. La disposizione mirava soprattutto ad eliminare le consuete, maleodoranti tracce lasciate dai barroccini dei beccai lungo le strade fino all'Arno durante il trasporto degli scarti più minuti delle lavorazioni delle carni, scarti che potevano ora disperdersi direttamente, senza alcun danno, nella sottostante corrente del fiume. Da quel momento il ponte divenne il mercato della carne ed i beccai, divenuti in seguito proprietari delle botteghe, per ottenere più spazio, vi aggiunsero in modo disordinato delle stanzette aggettanti sul fiume puntellandole con pali di legno.
[5] La chiesa di Santa Maria dei Bardi, detta popolarmente Santa Maria Sopr'Arno, si trovava a Firenze in piazza di Santa Maria Sopr'Arno. La chiesa fu soppressa il 13 maggio 1785 e l'edificio, che si trovava con la facciata dirimpetto al fiume, venne demolito nel 1869 all'epoca dell'ampliamento dei lungarni.
[6] Porta San Niccolò, da qui iniziava la cerchia sud, dopo il Ponte San Niccolò, e la torre costituiva quindi il punto di difesa dell'Arno a est, assieme alla Torre della Zecca sul lato opposto.
[7] Salta o Salti, erano i funzionari “dell’Onestà” che oltre ad altri incarichi avevano quello di controllare le prostitute se avevano il “Bullettino”, cioè il permesso di esercitare il mestiere di meretrice. Il nome “Salta” venne dato dal popolo perché, per cogliere in flagranza di reato le donne, arrivavano all’improvviso, cioè saltando, chiedendo di mostrare l’autorizzazione.