Il Farsettatio e sua figlia. (parte prima)
Era un buon periodo per me, mangiavo tutti i giorni e qualche volta anche più volte. I miei fratelli oramai erano già ben introdotti nell’ambiente dei malfattori: Girolamo, mio fratello maggiore, già si era fatto conoscere al Mercato [1] per la sua cattiveria e sadismo; Marietta, mia sorella, invece già era conosciuta per le sue prestazioni particolari; invece l’altro fratello Piero, ancora non sapeva chi era.
Ero un baldo giovane di tredici anni, e cominciavo a conoscere il posto dove vivevo, però mi sentivo prigioniero nel mio stesso Buco [2], cosi scappai. Oddio, non andai molto lontano, ma credetti di trovarmi in Paradiso. Guardavo la gente e mi dicevo che non erano come lì al buco, allegri, puliti e le donne profumate di acqua di rosa [3]. Guardavo con meraviglia le botteghe pulite, i garzoni ben vestiti e le strade non puzzavano di merda ed erano anche pulite. Senza accorgimene arrivai alla chiesa di San Michele Visdomini [4], qui un piccolo slargo accoglieva modesti venditori di cianfrusaglie, oggetti mai visti, un tesoro, cose bellissime che luccicavano dentro i miei occhi. Arrivai in Santissima Annunziata ma c’era troppa gente indaffarata che correva per andare da qualche parte, non mi piace, anche qui un grande mercato pieno di merce. Tanti uomini, chissà se mio fratello Girolamo conosce questo posto, potrebbe fare molti affari qui con le sue puttane.
Ho fame, la mia pancia fa rumore, non ho soldi ma non mi interessa, non li ho mai avuti, ruberò qualcosa come ho sempre fatto. Vidi un tavolo con succulenti pani e salsicce, li voglio, così mi avvicino, nessuno mi vede, troppa gente intorno al tavolo contrattava sul prezzo e comprava e mangiava senza aspettare nessuno.
Allungo il braccio per afferrare qualcosa, ci sono quasi, la saliva mi scende dalla bocca… ecco, preso, è caldo… caldo e morbido, tiro e sento un piccolo delizioso urlo, scappo con la mia preda… esco dalla piccola folla e vedo che stringo una mano, piccola, pulita e tanto calda. Lascio quella dolce manina con terrore, è sbagliato tenere qualcosa di così bello nella mia ruvida, brutta e sporca mano. Ho paura, se lei urla mi picchieranno o peggio.
Cercai di scappare ma quella morbida e tenera mano mi trattenne e qualcuno mi parlò e mi disse: – fermati!!! – Impaurito mi bloccai, tremando cominciai a piangere, non ero mai stato né preso né scoperto, la rabbia e il terrore mi assalì ma mentre cercai di urlare, mi resi conto che la mano era attaccata ad un braccio ed il braccio ad una bambina. Non dimenticherò mai quello che vidi: Un viso dolce, pelle chiara come la luce della luna, le gote come il sangue uscito da una ferita, un vestito bianco come la neve ed un corpetto rosso come un cardinale con una fascia di fiori di seta bianca ce circondava una fronte bella e morbida. Rimasi a fissarla, non avevo mai visto nulla di così bello, non riuscivo a lasciare la sua mano e lei senza dire nulla, sorrise senza paura… IO ho sempre fatto paura, tutti mi guardavano e giravano la testa… ma lei no, mi guardava e sorrideva… non dimenticherò mai quel viso.
Gentilmente mi disse: – hai fame! – Lei sapeva, lei capiva e mi sorrideva.
Con quel poco di voce a malapena riuscì a dire – si, tanta – Gli angeli si mostrano in molti modi, Alleluia.
– Vieni, seguimi nella bottega di mio padre, lì mangerai. – disse lei. Non sapevo cosa dire, così la segui con ancora la sua mano nella mia.
Entrai con lei in una stanza buia piena di stoffe colorate, un odore che non avevo mai sentito ed in fondo alla stanza vidi una finestra dove il sole colpiva ed illuminava una nera figura.
– sei un disastro, sbagli sempre, dovrò mandarti via se non migliori il tuo lavoro. – Quella nera figura brontolava con voce tranquilla un garzone di nome Mariotto che piangendo teneva il capo chino
– bambina mia, chi c’è con te? – disse l’uomo appena ci vide entrare. –
– padre mio, vi ho trovato un nuovo garzone, è solo ed ha tanta fame –
– non siamo agli Innocenti [5], non devi portare tutti gli orfani affamati che trovi – rispose il padre divertito.
– chi sei? – disse l’uomo – il tuo nome, subito – camminando verso di me con fare burbero, mentre mi guardava molto severamente
– signore – intimorito risposi a capo chino– io non ho nome, ma tutti mi chiamano Moccolo, padrone –
– io sono Jacopo il tuo unico padrone – parlando dolcemente e orgogliosamente continuò – sono il farsettaio [6] di molti nobili signori, se vuoi stare qui devi stare zitto e lavorare e – con voce dura – non voglio più ripeterlo.
Iniziò così la breve ma intensa conoscenza della bambina di nome Ginevra, di suo padre e dei garzoni. Certo, vedevo poco la padroncina, ma quando succedeva sentivo tanto calore e mi sentivo stranamente bene… non ero mai stato cosi… imparai a conoscere cosa sentivano le persone che non vivevano al “buco”. Il tempo passava ed io lavoravo così tanto che Padron Jacopo cominciò a sorridermi, solo qualche volta è vero, ma nessuno lo aveva mai fatto prima di lui. Non capivo, e non riesco a descrivere ciò che provavo ma mi faceva stare bene, anche adesso sto bene dopo tanti anni quando ripenso a quei mesi vicino al padrone ma soprattutto alla padroncina e provo ancora tanta dolcezza. Ecco questa è una delle tante parole che lei mi ha insegnato. Qualche volta mentre la penso vorrei non averla mai conosciuta, ma subito dopo prego Dio per averla incontrata e salvare così la sua bellissima anima.
Dopo le lunghe ore di lavoro, piegare le stoffe e consegnare i lavori di padron Jacopo, mi ritiravo sempre nel mio letto, era fatto di vere coperte di lino grezzo, mi graffiavano la pelle, al “buco” avevo solo della paglia sporca e piena di animali. Mangiavo qualche fico secco e un pezzo di pane e soddisfatto cadevo in un sonno profondo, però troppo spesso sobbalzavo... svegliandomi. Il buio non mi spaventava e non sentivo paura lì nel mio angolo, bella sensazione. La mattina dopo mi svegliavo come se avessi preso l’oppio [7], pesantemente, e senza ricordare né sogni né incubi la mattina ripartiva senza pensieri.
Sapevo di rimanere lì per lei, Ginevra, era sempre gentile anche se non mi parlava né mi guardava fino a quando un giorno, un bellissimo giorno mi chiamò:
– Moccoloooo – urlò lei – vieni quiii – senza dire una parola mi avviai correndo verso quella voce cosi angelica: è bellissima col suo abito color turchese e la fascia bianca con fiori sulla fronte.
– sono qui padroncina – dico con vergogna e occhi bassi – comandate – continuai.
– mio padre – disse lei sorridendo – vuole che tu impari il dettato e far di conto – continuò lei cercando i miei occhi, che io insistevo a non alzare. Con timore riuscì solo a dire – si padrona, come volete voi – tremavo e non respiravo.
Non capivo cosa volesse dire, ma ero felice solo di sentirla parlare. Il resto non mi interessava. Cominciò così che iniziai a vederla tutti giorni, io avevo solo un desiderio aspettare il momento di sentire il mio nome quando avrebbe deciso di chiamarmi. Correvo felice verso di lei e obbedendogli fedelmente mi impegnai così tanto che imparai velocemente tutto quello che lei mi chiedeva. Ciò che imparai da Ginevra lo misi in pratica così bene che creai tempo dopo una grande attività, superando perfino quella di Girolamo, il mio crudele e dolce fratello. Felice… ero felice tanto felice che mi sembrava un sogno. Ma un giorno, un terribile giorno tutto questo divenne un incubo, ed ancora oggi ne ho terrore. Non sarei stato più lo stesso, quel ragazzo spaventato e pauroso morì, venne sostituito da quello che mi avrebbe portato al carro [8], molti anni dopo, venni chiamato in molti modi: mostro, diavolo, satana, anticristo e altro.
Mi spiego meglio, la giornata cominciò al solito modo, un pezzo di pane mangiato in corsa come colazione e ero pronto per fare le consegne. Mentre stavo uscendo dalla bottega, con i farsetti da consegnare, vidi la padroncina che nel piccolo giardino si pettinata, era lì e stava guardando la propria immagine dentro ad un secchio pieno d’acqua e rideva felice. Tuttora sono convinto che lei era un angelo, il mio angelo. Vedendomi uscire, lei alzò gli occhi, mi vide, sorrise e gentilmente mi salutò, usando la mano che tanti mesi fa strinsi. Anchio sorrisi impaurito e corsi via felice per fare le consegne più velocemente possibile, volevo solo tornare a bottega e rivederla, solo questo volevo, che altro potevo desiderare, lei era un angelo del paradiso ed io un demone dell’inferno. Non sapevo che quella sarebbe stata l’ultima volta che la vedevo così bella.
Al mio ritorno, fuori dalla bottega di Padron Jacopo, vidi una folla rumorosa ed impaurita – cosa succede? – urlai a chi mi stava vicino – cosa succede, maledetti – continuai ad urlare con la paura e un terrore che non avevo mai provato. Con fatica riuscì ad entrare nella bottega e trovai il padrone che piangeva, si batteva il petto e si strappava i capelli.
– padrone cosa succede? – chiesi tremando impaurito – vi prego – padrone Jacopo mentre alza gli occhi rossi e gonfi mi guarda e mi dette un pugno facendomi cadere, lasciandomi senza fiato sul pavimento e dice – dov’eri maledetto, dov’eri – gridava come un pazzo – Ginevra, la mia Ginevra è scomparsa –
Io non capivo, ero a terra senza fiato e non capivo, perché mi ha picchiato? Io non ho fatto nulla. Come mi aveva colpito mi afferrò e mi abbracciò stretto: – la mia Ginevra, dov’è, mia figlia – Non sapendo cosa dire preferì stare zitto, ma non riuscivo a smettere di piangere.
Passarono molti giorni e della Padrona non avevamo notizie, spesso chi sparisce poi ritorna, ma lei non tornava. Il 2 gennaio del 1460 partirono le ricerche ma era più di un mese che lei era sparita, più di un mese senza sapere cosa era successo, non saprò mai perché aspettarono tanto. Padrone Jacopo, non riusciva più a lavorare, dovevo imboccarlo e lavarlo o sarebbe morto… la bottega oramai non aveva più lavoro. Tutti i garzoni erano andati via, solo io era rimasto, rimasto solo per Ginevra, il mio angelo.
La cercavo tutti i giorni, ma che potevo fare da solo, camminavo non ho fatto altro ed è così che ho conosciuto Firenze, gli angoli più bui, i posti più sporchi e così tanta gente, e molti di loro in seguito li usai per i miei scopi. Una mattina vennero i “birri” [9] e ci dissero che l’avevano trovata in un fosso morta in Santissima Annunziata, sui gradini dello Spedale [5]. Appena saputa la notizia, corsi all’impazzata nel luogo del ritrovamento e la vidi, era lì, nuda, rossa di sangue, sporca di carbone e piena di tagli, col viso pieno di terrore. Chi ha fatto questo al mio angelo, non capisco tanta cattiveria… lei era buona, sorrideva a tutti, dava sempre qualche soldo a chi li chiedeva, perché? Dopo averla fissata a lungo, qualcuno disse che erano venuta a prenderla. Non potevo più stare lì a vederla, così piangendo andai via e ritornando al “buco” corsi a cercare mio fratello Girolamo, lui mi aiuterà, deve farlo. Lui è forte, conosce tutti mi aiuterà. Andai al Mercato Vecchio e lo cercai, lo vidi a sedere sui gradini della Chiesa di San Leo [10], gli andai incontro e mi gettai ai suoi piedi, implorando di aiutarmi. Lui mentre mi guardava mi sferrò un calcio gettandomi a terra.
– che cazzo vuoi – urlo sul mio viso, il suo fiato puzzava di alcol e oppio, vomitai. Cominciai tra le lacrime e singhiozzi a raccontarli tutto, stranamente lui rimase in silenzio, picchiando chiunque interrompesse il mio farfugliare sconvolto. Per la prima volta mi ascoltava e la sua espressione si abbruttì ancora di più. Quando finì mi fece una domanda che mi sconvolse:
– dimmi cosa vuoi che faccia? – chiedendomi gentilmente.
– aiutami fratello – con la faccia coperta dalle mani – aiutami, voglio sapere perché è successo questo alla mia padroncina, aiutami farò tutto quello che vuoi – continuai piangendo. Lui mi afferrò violentemente e mi tirò a se tenendomi stretto, e mi sussurrò – ti aiuterò, troveremo chi è stato e lo ucciderò per te – io divincolandomi dall’abbraccio gli urlai: – nooo, figlio di puttana, lo ucciderò io, trovalo e lo ucciderò, devo farlo – vomitando sul suo sudicio viso quelle parole,. Finalmente capii che quando dissi quelle parole mi sarei trasformato per sempre. Se solo lo avessi capito prima, se solo…
Non so quanto tempo passò, contare i giorni non mi è mai interessato, ma ora vorrei averlo fatto. Solo molto più tardi venni a sapere che Ginevra non ancora dodicenne, venne rapita, stuprata, seviziata e infine uccisa. Il suo corpo senza vita venne lasciato in pasto ai cani e agli uccelli, che ne fecero scempio (“canibusque et avibus exposita ac dimissa”). Venne seppellita in San Firenze ed i colpevoli non vennero mai trovati ed il caso venne chiuso.
– Maledetto chiunque tu sia, ti troverò – ripetevo rabbiosamente – il Gonfaloniere [11] non ti ha trovato, ma io ti troverò… soffrirai molto lo giuro –
[1] Il Mercato Vecchio era una zona di Firenze che venne demolita, assieme al vecchio Ghetto, tra il 1885 e il 1895 per la creazione di piazza della Repubblica, nell'ottica del cosiddetto "risanamento" cittadino. Questa zona è stata considerata per secoli un luogo di prostituzione e rifugio di criminali.
[2] Vicolo del Buco, si estendeva da via Vacchereccia a via Lambertesca, queste due ultime vie esistono tutt’ora ma sono profondamente cambiate. Il Chiasso del Buco invece esiste tutt’ora e collega via Lambertesca alla torre Salterelli nella omonima piazza.
[3] Acqua di Rose, si usava alcol con petali di rosa macerati o più probabilmente la lavanda essendo a buon mercato. Il profumo non era per tutti, ma molte donne lo usava anche se la chiesa lo guardava con sospetto
[4] La chiesa di San Michele, anche conosciuta come San Michelino Visdomini, è un luogo di culto cattolico che si trova all'angolo con via Bufalini e via dei Servi, su uno slargo indicato come Piazza San Michele Visdomini, nel centro storico di Firenze.
[5] Lo spedale degli Innocenti ("ospedale dei bambini abbandonati") si trova in piazza Santissima Annunziata a Firenze. Fu il primo brefotrofio specializzato d'Europa
[6] Farsettaio, colui che cuce Il farsetto o doublet, o pourpoint, ed era un indumento maschile, corto e leggermente imbottito, di solito con una abbottonatura sulla parte anteriore, con o senza maniche. Il doublet è stato uno dei principali capi d'abbigliamento degli uomini del quindicesimo e sedicesimo secolo, e fu un indumento chiave nel passaggio dalla moda del Medio Evo a quella del Rinascimento.
[7] Oppio, Coltivato prevalentemente nell'area dei paesi mediterranei più caldi, la Turchia in particolare, l'oppio si diffuse progressivamente in Asia. Nello stesso periodo in Europa, paradossalmente, si perseguitarono periodicamente, in maniera tanto dura quanto inefficace, le cosiddette "droghe coloniali": il caffè, il tè, il cacao, il tabacco. L’uso di oppio e vino accomunavano, infatti, Nerone, Tito, Nerva, Traiano e Adriano. Petronio ne parla descrivendo la famosa “Cena di Trimalcione”. E il grande imperatore e filosofo Marco Aurelio è probabilmente uno dei primi “tossicodipendenti” da oppio di cui si ha notizia. Poi si ha notizia, tramite il grande Botticelli, dove nei dipinto “Venere e Marte” ci sarebbe dipinta la Datura stramonium, pianta allucinogena usata in Italia sin dai tempi più antichi.
[8] Carro, mezzo con il quale il condannato veniva portato al luogo della sua morte. Perciò quando si diceva: è sul carro, stava a significare che era stato condannato a morte.
[9] Birro o Birri, Agente di polizia nei tempi passati; Il nome forse deriva dal latino tardo birrus, rosso, per il colore della casacca. Oggi quasi sempre usato con valore spregiativo e più comunemente nella forma sbirro.
[10] la chiesetta di San Leo arrivò ad ospitare una “societas lenonum seu ruffianorum” (una società di lenoni o ruffiani) che avevano una loro patrona (Santa Barbara) e assemblee degli iscritti. Chiesa di San Leo, il nome originale era San Leone ed era posta nell’omonima piazzetta di San Leo, che occupava uno slargo dell’allora via de’ Naccaioli, muove all’unione di via della Vacca con quella dei Buoni e termina nella piazza del Brunelleschi dirimpetto alla via de’ Rigattieri. Si potrebbe dire che via de’ Naccaioli corrisponde a via de’ Brunelleschi, mentre chiesa e piazzetta di San Leo erano compresi nell’area oggi occupata dalle logge di Piazza della Repubblica, all’altezza dell’Hard Rock.
[11] Il Gonfaloniere di Giustizia era una figura istituzionale del governo fiorentino. La figura del Gonfaloniere di Giustizia fu introdotta a partire dal 1293 con l'entrata in vigore degli Ordinamenti di Giustizia di Giano Della Bella che affiancava il Podestà ed i Priori nell'esercizio delle funzioni pubbliche.