Corrado Ricci e la distruzione dell'antico centro, 1906
Verità intera, nonostante tutte le scuse e le giustificazioni che si vogliono accampare in nome dell’igiene, del movimento e di tutte le altre cose terribili e più ostili all'arte, che si riassumono nelle quattro parole «esigenze della vita moderna». Perché è chiaro che i fanatici dei più fulminei mezzi di transito, dalle brutte tranvie elettriche alle automobili assordanti e ammorbanti, per non trovare ostacoli alla loro furia deambulatoria abbatterebbero le più belle viuzze e i più bei monumenti del mondo. E poi tra le «esigenze della vita moderna» sono da mettere anche le speculazioni degl’intraprenditori, i quali pensano che, a fare soltanto, non si guadagna quanto a disfare e a rifare.
A che scopo, infatti, demolire intera la grande e storica curva delle mura urbane dalla Torre della Zecca Vecchia sino a Porta al Prato, anzi sino alla pittoresca Porticciuola, di contro ai bagni della Vagaloggia, che gli artisti non si stancavano mai di riprodurre? Ho sott' occhi un giornale del tempo, che, fra le ragioni, metteva anche quella igienica di dar maggiore ventilazione alla città, come se la conca dell'Arno non fosse un de' più turbinosi veicoli di vento che si conoscano. E v' hanno quindi dei vecchi che ora rimbeccano che «al tempo delle mura, in città s' aveva meno tramontana e meno polvere». Ne, penso io, le torri e le porte, rispettate per un resto di pudore, dovevano sembrare allora cippi abbandonati in mezzo a un campo, così slegate dalla loro catena merlata. E come sono amene quelle porte, aperte laddove tutto è aperto e per tutto si passa: forche caudine per gli storici e gli esteti di facile contentatura! Ogni città ha certo diritto di trasformarsi, ma deve saperlo fare con criteri bene equilibrati tra le vere e imperiose necessità nuove e il rispetto della storia e dell'arte. Il fare un piano regolatore, tirando una rete di linee diritte, sopra una pianta della città, senza tener conto di quel che si va ad incontrare e a rovinare, è opera altrettanto fa facile che biasimevole. Il piano regolatore, seriamente studiato, deve trovar modo di corrispondere ai sopraggiunti bisogni, conservando ciò che i secoli hanno più ammirato e celebrato.
Non tutto, perciò, nelle demolizioni del centro doveva andare perduto. Di fronte alla Loggia del Pesce e a Piazza Sant'Andrea, per non dir altro, le costruzioni dovevano arrestarsi o adattarsi girando — come si dice — la difficoltà. Invece, si tirarono delle rette e si diede di cozzo in tutto, quasi che il criterio delle demolizioni fosse affidato a un gagliardo tiro d'artiglieria. Quelli, che sfogheranno questo volume, vedranno solo una piccola parte di ciò che, in più volte, ma specialmente in tre recenti riprese, si è abbattuto. E giudicheranno.
Ho detto in tre riprese principali, perché le prime demolizioni (dal 1842 al 1845) furono fatte per l'allargamento di via Calzaioli; perché le seconde, dovute alla febbre transitoria della capitale, presero, tra l'altro, di mira la cinta merlata delle mura (1865-1870) e continuarono sino al 1873 pei Lungarni della Zecca e Serristori e pel Ponte alle Grazie; e le terze (1881-1891) infuriarono su Mercato Vecchio, sul Ghetto e sul pittoresco meandro dei chiassuoli ricchi a dovizia di deliziosi particolari, traversati da serie d'archi alti e bassi, e irti di torri. Chiesette, oratorii, tabernacoli, residenze d'arti e di mestieri.... Tutto s'accasciò allora, senza eccezione (e qui fu il male) e senza remissione, sotto l'impeto del piccone e del martello.
Quel che è sorto poi dalle rovine fumanti, tutti possono vedere; e possono anche vedere, per maggior rimpianto, quel poco che, del vecchio quartiere distrutto, rimane, confinato nel Museo di S. Marco. Nessun dubbio, ripetiamo, sulla necessità di demolire e di sventrare; ma il desiderio dello spazio e dell'igiene conculcò troppo i diritti dell'arte e della storia; e tutti ora lo riconoscono con tardiva querela. La città diventò più decorosa, ma meno artistica e, specialmente, meno pittoresca. Anzi (cosa addirittura incredibile) a renderla meno artistica e meno pittoresca, contribuirono anche alcuni cultori dell'arte, trascinando, per eccesso di spirito conservatore, nelle fredde penombre de' musei il David di Michelanoelo e il San Giorgio di Donatello, mentre, in loro vece, s'alzavano all'aperto monumenti moderni di molto malinconica apparenza, nonché la facciata di Santa Croce e tutta una folla di statue, tra il colonnato degli Uffizi, dove si scorge l'Orcagna che, col guardo, misura una loggia che non architettò mai, Nicola Pisano con ai piedi una scultura che non eseguì mai, Donatello con un San Giovannino che operò un suo discepolo, Giotto con una pecorella che non grafi mai, Leon Battista Alberti col progetto d'un tempio che la critica gli contende, Leonardo con un disegno non suo, Michelangelo con, ai piedi, la testa d'un fauno che non è quella che scolpì, il Boccaccio con un libro coperto da una rilegatura del cinquecento!
----------------------------------------------------
Corrado Ricci (Ravenna, 18 aprile 1858 – Roma, 5 giugno 1934) è stato un archeologo e storico dell'arte italiano. Fu senatore del Regno d'Italia nella XXVI legislatura. Wikipedia