Polemici, sempre e comunque

03.09.2013 13:10

Un dissidio interno viene alla città anche dall'essere insieme antica e moderna. Firenze si è sempre rifiutata di divenire un museo o una città alberghiera. Sa bene d'essere museo e centro di attazione turistica, ma non vuole rinunciare alla sua libertà di città moderna, per far piacere al turista o far contento l'erudito. Per questo ci sentiamo in dovere di rifiutare anche i motivi della nostalgia, che qualche volta giungono al limite della denigrazione. Ormai non c'è scrittore fiorentino e non, che non approfitti di un umor nero, per scrivere male di Firenze. E non c'è conservatore, faceto o tedioso, che non colga l'occasione di sciacquarsi la bocca col torbo dell'Arno. Tutte le occasioni sono buone per dire male di Firenze: centenari o commemorazioni; ricordi e giubilazioni; servizi giornalistici e prose d'arte. Viene quasi il sospetto che si tratti, d'ora in avanti, d'una nuova retorica, e quindi una deplorevole pigrizia mentale.  A corto di argomenti, il più sprovveduto degli scrittori ha sempre pronto nel cassetto un pezzo nostalgico dell'antico centro, oppure un'invettiva contro le nuove costruzioni, oppure un lamento per un orto scomparso, oppure uno sdegno un elogio per un rottame riapparso. Una volta la retorica in uso era diversa e l'"aura" spirante sull'Arno veniva senz'altro detta "balsamica e salubre". Con la sua "sottigliezza" acuiva gl' "ingegni più fini", ispirava "generosità e cortesia", nobilitava gli intelletti e ingentiliva i costumi. propizie le stelle del cielo, fresche le acque della terra, la valle fiorentina era "aprica" per definizione, mentre la "perla dell'Arno" appariva "preziosa" per costituzione. " La patria Italia -- diceva San Bernardino da Siena -- è la più intellettiva parte del mondo, e Toscana la più intellettiva parte dell'Italia, E Firenze la più intellettiva  parte della Toscana". Anche viaggiatori di altri paesi e di ogni lingua, fino a Anatole France, che la reputò creata da un Dio artista.

Che cosa è dunque accaduto, se oggi i nuovi retori, alzando gli occhi al cielo di Firenze, non scorgono che congiunzioni di astri maligni,se riabbassandoli alla terra non vedono che sterpi nel campo gigliato del leggendario Fiorino, se lungo l'Arno non sentono che miasmi pestiferi e non avvertono che sintomi di prossima morte?

Ahi, dolce e gaia terra fiorentina,

fontana di valore e di piacenza,

fiore de altre, Fiorenza!

cantava Chiaro Davanzati; Ma che fiore oramai è questo? secco arido pistillo, e l'ovario vuoto di buona semenza? Dopo gli inni, oramai, pare non siano possibili che le elegie; dopo i carmi non si intonano che palinodie; dopo le laudi sono solo permesse le invettive. E tanti rimpianti, sempre nostalgici rimpianti, soltanto sospirosi rimpianti, per le cose che furono e più non sono, secondo il notissimo atteggiamento spirituale, chiamato "decadentismo"; rimpianti per le cose amate e perdute, amate perchè perdute, secondo la facile vena poetica dei cosiddetti "crepuscolari", malati di nostalgia per le piccole cose di pessimo gusto e che dovrebbe essere di buon gusto non ricordare rimpiangere e revocare con tanta noiosa insistenza. 

" Firenze -- dicono, tra delusi e compiaciuti, gli eterni recriminatori -- Firenze non è quella di una volta". E credono con ciò, di avere scoccata l'ultima freccia contro il fianco di questa specie di bella addormentata e di brutta vegliante. " Firenze non è più quella di una volta", ma di quale volta? Tutte le fiabe cominciano con un : "C'era una volta... "Che c'era dunque una volta? Una volta, per esempio, c'era un campo di veterani cesarei, in riva all'Arno; e un'altra volta c'era una città turrita e faziosa, un'altra ancora, una città mercantile, poi una città aristocratica e poi borghese, una volta era una città "pudica" poi una città "sporca".

Firenze, come tutte le città non muoiono, è stata, volta a volta, città diversa, secondo i tempi, le circostanze e le condizioni del momento. Firenze di Dante non fu certo la Florentia di Cesare; Firenze di San Giovanni Gulaberto non fu certo la città del Marchese Ugo; quella medicea non fu uguale a quella guelfa,quella del Savonarola non fu certo la Firenze del Beato Simone da Cascia. Nella stessa maniera Firenze, la Firenze del Brunelleschi non fu più quella di Arnolfo; la Firenze del Granducato lorenese non fu quella del Granducato mediceo; la Firenze dell'Accademia del Cimento non fu più quella dell'Accademia platonica; nè quella infine, delle Giubbe Rosse fu la Firenze degli Amici pedanti, nè quella di "Lacerba" non fu la stessa del Gabinetto Vieusseux e dell' "Antologia". Tutto ciò è pacifico, naturale ed opportuno. Significa che Firenze ha vissuto e vive ancora.

E' estremamente ridicolo, se non fosse anche leggermente invidioso, pretendere che Firenze fosse rimasta ferma ai tempi che furono, per mantenersi "quella di una volta". Qualcuno, ha scritto o detto spiritosamente che "Firenze ha uno splendido avvenire... dietro le spalle", ci accorgeremo che sarà proprio quel qualcuno che vede tutto con la testa rivolta all'indietro, incapace di cogliere neppure un palpito di vita nuova e sempre rimpiangendo le cose passate ed appassite. Egli è uno di quei ritardatari, che avendo letto le penultime pagine della storia letteraria e artistica o solo le bandelle di qualche libro, si vanno a sedere al Caffè delle Giubbe Rosse, appoggiano i gomiti sul tavolino ed attendono i fantasmi del tempo che fu, mormorando: "Firenze non è più quella di una volta".

Firenze anche nei momenti più addormentati, non è mai stata provinciale; si potrebbe dire che qualche volta sia caduta volontariamente in letargo, proprio per non diventare provinciale, cioè per non vivere di riflesso o in ritardo.