Dante Alighieri, il Poeta

11.01.2014 18:16

RAVENNA - I resti mortali del poeta anche in morte il riposo del poeta fu particolarmente travagliato. Una manciata d'anni dopo il decesso, il cardinale Bertrando del Poggetto fece richiesta di far bruciare le ossa per infamia. Sfumato il clima di violenta avversione di fronte all'indiscutibile grandezza del poeta iniziarono le richieste di restituzione da parte della città natale. Ironia della sorte, le tardive premure saranno causa per il povero Dante di nuove tribolazioni. Nel 1396 e nel 1429 Firenze chiese la restituzione delle ossa. Ravenna rifiutò. Firenze insistette. Nel 1509, dopo la breve dominazione veneziana, Ravenna passò al papa. Sollecitato da una petizione di fiorentini illustri tra cui Michelangelo, il fiorentino Leone X, ordinò la traslazione, ma all'apertura il sarcofago risultò vuoto.

I frati francescani dell'attiguo convento, avevano giocato d'anticipo facendo scomparire le ossa da un buco praticato nel retro del sacello. I resti furono celati talmente bene che se ne perse traccia fino al 1865, anno in cui riapparvero accidentalmente.

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FIRENZE – Libro del Chiodo, così denominato per i chiodi di ferro – di cui uno ancora presente – apposti sui piatti lignei della legatura, in cui sono contenuti anche i testi delle due condanne di Dante Alighieri: il podestà Cante de Gabrielli da Gubbio con due sentenze (rispettivamente a p. 4 e 15 del fac-simile) comminò il 27 gennaio 1302 l’esilio e  il pagamento di 5000 fiorini piccoli, e il 10 marzo successivo la condanna alla pena capitale: «ut propterea fiat memoria nomen eius scribatur in stat(uto) populi et aliquod offitium vel benefitium tamquam falsarius vel baracterius nullo tempore habere possit a comuni vel pro comuni Florentie, sive condempnationem solverit sive non»: con la trascrizione dei loro nomi nel registro si ‘inchodavano’ per sempre i condannati e i loro discendenti. L’accusa a Dante più nota è quella di «baratteria»; a questo proposito, come ben precisa la Klein, bisogna ricordare che essa «era una imputazione, per così dire, tecnica: la corte del podestà che inquisiva i processi per abusi vari d’ufficio era appunto quella dell’apposito giudice “super baracteriis, iniquis extrorsionibus et lucris illecitis”, reati sotto i quali per antonomasia, ricadevano le accuse di carattere più propriamente politico». Per quanto riguarda la condanna di Dante essa fu determinata soprattutto dalla sua fiera, non retorica, opposizione a papa Bonifacio VIII e dal ruolo da lui avuto nel biennio 1299-1301; infatti, nell’assemblea plenaria dei Consigli cittadini il 13 settembre 1301, quando appunto si dibattè se accettare come paciere Carlo di Valois, Dante, intervenendo per primo, «usò toni così aspri che il notaio della Consulta lasciò in bianco... lo spazio di tre righe che doveva accogliere il parere da lui espresso»... Articolo completo: qui

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ROMA – “Vietate la Divina Commedia, ha contenuti antisemiti, razzisti, omofobici e contro l’Islam”. La richiesta arriva da un’organizzazione di ricercatori e professionisti accreditata alle Nazioni Unite come consulente speciale per il Consiglio Economico e Sociale. Stereotipi, luoghi comuni, contenuti e frasi offensive, razziste, islamofobiche e antisemite che difficilmente possono essere comprese e che raramente vengono evidenziate e spiegate nel modo corretto. È il contenuto di alcune terzine della Divina Commedia che, secondo il gruppo di intellettuali “Gherush92″, andrebbe eliminata dai programmi scolastici o, quanto meno, letta con le dovute accortezze. Articolo completo: qui

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ROMA – Dante Alighieri era narcolettico? Sogni, sonno e improvvisi assopimenti ricorrono nella letteratura dantesca. Forse semplici espedienti letterari, ma che hanno fatto sorgere nei secoli molti dubbi. I versi danteschi infatti descrivono fin troppo bene i sintomi della narcolessia, malattia neurologica caratterizzata da sonnolenza improvvisa, perdita di forze e paralisi del corpo nonostante il soggetto sia sveglio. Una malattia che colpisce 4 persone ogni diecimila nel mondo e che dipende dalla scomparsa di un piccolo gruppo di cellule nel cervello. Articolo completo: qui

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Il 19 luglio 1999. durante un controllo topografico del Banco Rari nel Magazzino Manoscritti è stata rinvenuta la piccola teca riprodotta in questa pagina. Nella teca vi sono due cimeli danteschi risalenti alle celebrazioni del 1865 (VI centenario della nascita del Poeta). In quella occasione fu rinvenuta e aperta la cassetta nella quale riposavano le ossa di Dante per ricollocarle in una urna più degna. Durante la ricomposizione, il tappeto sul quale poggiava la cassetta e la cassetta stessa furono liberati dai sedimenti dei resti del Grande Poeta (polvere e scaglie d'ossa).
Il notaio Saturnino Malagola autenticò questi prelievi che furono conservati in varie buste. Una di queste buste fu donata dallo scultore Enrico Pazzi, ravennate con studio a Firenze e autore della statua di Dante in Piazza S. Croce, alla Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze che insieme ad altri cimeli, agli splendidi codici e alle numerose edizioni pregiate della Divina Commedia ne voleva far pubblica mostra nella Tribuna Dantesca dell'edificio di Piazza Cavalleggeri. Il cimelio oggi rinvenuto fu visto l'ultima volta da alcuni congressisti bibliotecari nel 1929. Le ceneri sono affiancate da un altro reperto: una carta che ha ricevuto l'impressione del cranio di Dante. Come si può notare si tratta di cimeli che hanno un valore simbolico, per alcuni oggetto di desiderio e di culto, e che hanno suscitato un interesse particolare in un momento storico (1865) in cui la Nazione, finalmente unificata nel Regno d'Italia, andava alla ricerca di un nume tutelare prestigioso ed emblematico: non si poteva cercare personaggio più rappresentativo. Articolo completo: qui

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Ritrovato documento nell'Archivio di Stato di Bologna: forse Dante scrisse l'Inferno prima dell'esilio? La Fondazione del Monte di Bologna e Ravenna, finalizzata al progetto di ricerca delle cronache medioevali manoscritte bolognesi, ha scoperto un frammento del V canto dell'Inferno, dimostrando che forse Dante di passaggio a Bologna nel 1303 avesse letto o fatto leggere alcuni versi  ad un notaio poeta che li trascrisse su una pergamena.