Sua Altezza Mario Palazzi, poeta improvvisatore

A sinistra, in alto ed in basso, due immagini del grande e gigantesco poeta Mario Palazzi. Accanto a lui vediamo, foto dei primissimi anni del 900, una donnina, anziana e piccolissima - Assuntina - con la quale si accompagnava spesso, destando la curiosità e richiamando l'attenzione dei passanti. Quando loro due giravano insieme, sembravano due lettere dell'alfabeto : due "i", una maiuscola ed una minuscola. Il popolare personaggio era altissimo e gareggiava con il gigantesco indigeno, " il Patagone", riprodotto in statua e conservato nel museo di antropologia ed etnologia in via del Proconsolo. Misurava oltre due metri (e si diceva che lui avesse ceduto il suo scheletro dopo morto, al Museo la Specola in cambio di un sussidio) ed appariva più imponente grazie all'inseparabile cappello a cilindro: altri compagni inseparabili erano i bastoni da passeggio e certe borse da viaggio che portava a tracolla nelle quali custodiva poesie e canzoni che declamava sulla via. 
" In questa borsa di pelle consunta e arrossata, ch'era il suo più amato tesoto - scrisse Giovanni Papini - teneva le sue opere stampate e manoscritte, cioè degli opuscoli dov'erano raccolte le sue poesie più belle e altre poesie scritte a penna che egli era pronto a vendere a chiunque le richiedesse...". Papini ebbe poi a raccontare che una volta si sedette accanto al Palazzi su una panchina del Giardino D'Azelio e ascoltò i suoi rimpianti della trapassata età, apprendendo anche una vecchia canzone popolare: " Al tempo dei Medici / un quattrin facea per sedici / ma ora coi Lorena / se si desina non si cena / Venuto Emanuelle / non siamo che ossa e pelle...". 
Il Palazzi nacque nel 1830, abitò a lungo a Montedomini, e morì all'Ospedale di Santa Maria Nuova il 27 novembre 1913. Non si sa che fine abbia fatto il suo scheletro.
 
Dopo aver salutato con entusiasmo gli eventi risorgimentali, ecco due suoi componimenti:
 
"Firenze civilizzata"

A noi par d'essere
Civilizzati
Peggio che ora
Non siam mai stati

Se questo è il vago
Giardin di Flora (1)
Era più bella
Prima via Gora (2)

Questo è il felice
Secol de' Lumi
Senza più arrosto
Ma molti fumi

Tutti siam dotti
Il Cappellajo
Se fa uno sgorbio
E' Ghirlandajo

E quel che i cavoli
Vende al mercato
Vede suo figlio
Sommo avvocato

Spera nel titolo
Di Generale
Quello che vende
Fino il majale

Chi più dell'essere
Conta il parere (3)
Scambia il Te Deum
Col Miserere

E a conti fatti
Può dirgli ognuno
Sperasti pascerti
E sei digiuno

(1) Firenze
(2) Via Gora, l'attuale via Montebello. 

Vi scorreva, appunto, una gora che 

raccoglieva le acque sporche e che confluiva in Arno.
Nel 1857 il fosso venne interrato.
(3)Sembrare.

"Dialogo fra padre e figlio in Piazza de' Pitti"

Figlio
Dimmi papà
Ov'è il Granduca
Stà rinserrato
Entro una buca?

Padre
Pur troppo è morto
Roma l'accoglie
Esule andò
Da queste soglie

Quando qui stava
Ernesto mio
C'era in Palazzo
L'Angiol di Dio

Coi Cari Figli
La sua Consorte
Di santi e Angeli
Formò la Corte

Né pel colera (1)
Nè per la piena (2)
Ai fidi sudditi
Voltò la schiena

E mai si videro
Entro il suo regno
Farsi pe' poveri
Case di legno

Trattare i popoli
Colle prigioni
Se in cuor racchiudono
Altre opinioni

Dare ai ragazzi
Tante licenze
Di fare ad altri
Le impertinenze

Figlio
Che Italia è bella
Forte Nazione
Lo dicon sempre
Molte persone

Padre
Per chi ha rubato
Le altrui sostanze
Son tempi rosei
Per le finanze

Se tenta il popolo
Dir sue ragioni
Vi è Bersaglieri
Linea - e Cannoni

Così ragione
Han sempre loro
Ecco la bella
Età dell'Oro

(1) Epidemia del 1835
(2) Alluvione del 3 novembre 1844