Il Ceppo natalizio
Come era bella Firenze il giorno della vigilia del Sacro Giorno, era un viavai di gente che andava a chiedere mance o portare regali, dal più ricco al più povero, si mandavano doni ai parenti e agli amici, ai monasteri e ai conventi, eravamo tutti allegri per quello che ricevevamo; ognuno dispensava ai sottoposti una ricompensa, una regalìa ma soprattutto agl'infimi di rango era doveroso dare di più. Nelle case avevano luogo cene e ritrovi, che si protraevano fin verso la mezzanotte, tanto per far l'ora d'andare a sentire la messa. Con uno stato d'animo lieto ed allegro andavamo tutti insieme... ero felice, avevo una bella famiglia, una vedova ed i suoi figli. Questa festa non perse il suo carattere neppure sotto il dominio de' Medici, che non erano molto religiosi, anzi con il loro neoplatonismo relegarono la fede molto in basso nelle feste ed aprirono la strada a quel "mangia divertimenti" del Savonarola, io con le sue budella avrei strozzato tutti gli altri Piagnoni. Fino dalle prime ore della sera andavo per la città con allegre brigate di giovani, che al lume di qualche lanterna o di qualche torcia di resina, percorrevamo le strade coi liuti, le trombe e le mandòle, cantando a sguarciagola allegre canzoni per finire poi in una delle tante osterie, dicendo scherzosamente di andare a sentire la messa di Fra Boccale, noi il Sacro Sangue di Cristo lo bevevamo in questi luoghi.
Il Duomo, la Santissima Annunziata, Santa Croce e San Lorenzo erano le chiese più frequentate nella notte del Ceppo, sfarzosamente illuminate, organo che suonava stonando, il suonatore di solido era 'briaco, una folla enorme di popolo e pure con gran partecipazione della nobiltà, la messa di Natale poteva più assomigliarsi a una gaia festa baccanale, con nobildonne bellissime dolcemente profumate e pelle bianca e dolce, che con un pò di fortuna potevamo anche toccare, più che a una funzione religiosa era un modo per godersi il momento visto i problemi che avevamo.
Mi resi conto che le cose stavano cambiando perchè dal 1600, pittoresco e curioso era l'aspetto della folla, per la varietà e la bellezza dei costumi, per la ricchezza delle stoffe, e per lo splendore delle gemme con cui erano ornate le vesti delle gentildonne, accompagnate da uno stuolo di spensierati ed allegri cavalieri, che col pretesto della messa si procuravano il divertimento di quella gita notturna. Come spesso accade la religione era una copertura per ogni sorta di licenze licenziose, vedendo ed avendo come esempio la corte Medicea, bigotta e corrotta... Non si ricordavano più che all'inizio della loro scalata al potere venivano chiamati la "masnada del mercato vecchio" adesso era peggio di prima.
Ai tempi del Savonarola, come reazione contro le prediche e i rigori da lui imposti, alcuni giovinastri, secondo alcuni bacchettoni, la notte del sabato santo scoperchiavano le seporture di Santa Maria Novella, oggi via degli Avelli, per mettere in caricatura la resurrezione di Cristo. E la notte di Ceppo dopo cena, con parenti ed amici, ci buttavamo nella città con le lanterne e le torce, cantando le ballate provenzali e le canzoni d'amore, eravamo al limite dell'eresia e potevamo essere arrestati dagli sgherri dei Piagnoni del grande ed indemoniato monaco. Quindi andavano nelle chiese affollate di devoti, commettendo molti atti licenziosi con le bianche e tenere donne che erano li a pregare ma soprattutto pronte per essere prese. Ma una notte esagerammo, mi ricordo che era il Natale del 1498, Lorenzo era morto da sei anni e il Savonarola pure, e Firenze stava risvegliandosi dal buio dell'oscurantismo. Eravamo un gruppo di amici e riuscimmo, con difficoltà, a fare entrare un cavallo mezzo morto nel Duomo. Non riesco a narrare con chiarezza i fatti ma ricordo bene i fedeli impauriti che cominciarono a scappare di qua e di là causandosi ferite anche gravi, scena apocalittica ma divertente. Il cavallo era cosi spaventato che crollò morto o quasi sui preziosi marmi, lo prendemmo per la coda e mentre lo trascinavamo cantavamo canzoni oscene e bestemmiavamo in compagnia delle donne iscritte all' "Offizzio dell'Onestà", insomma le puttane che erano li per mondare i loro peccati carnali. Per finire in bellezza riempimmo le acquasantiere di inchiostro, non vi dico il caos che successe, mentre noi, nel totale disordine “lo violarono innanzi a Cristo ove si dice la parola di Dio, e lo imbrattarono.” Insomma facemmo delle belle scopate, vicino all'altare, con quelle puttane non redente. Una di queste poi venne innalzata a Madre di Nostro Signore, gli mettemmo in testa la corona che avevamo tolto alla statua dellla Dolce e Vergine Maria. Non date colpa a noi di tutte queste licenze ma al Savonarola che ci vietava tutto, eravamo giovani e pieni di vita noi fiorentini e siamo pure gente allegra e festaiola, ed ora che era morto ci sentivamo resuscitati. Potrei raccontarne molte di queste storie ma mi limito a questa.
In tempi più recenti per la vigilia di Ceppo si cominciavano a veder per le strade di Firenze i fattori dei conventi delle monache andare a portare i dolci, preparati dalle medesime, ai benefattori del monastero, i quali sapevan purtroppo che esse “danno un aghetto per avere un galletto”, aghetto non da ago ma da tringa per le scarpe, noi fiorentini diciamo " aghetto ". Nelle strade si vedevano una miriade di contadini, arrivati dal contado, che portavano ogni sorta di regali spediti da parenti o amici lontani. Per la maggior parte eran capponi, agnelli, cacciagione, fiaschi di vin santo o d'aleatico, la ghiottoneria del giorno di Ceppo di quei tempi, e che oggi non si usa più. La mattina, sempre della vigilia, intorno alla colonna di Mercato si vedevano un'infinità di venditori, che non facevano che urlare e vociare: “Un bè paio di capponi!” Pareva addirittura una fiera, tanto era assordante il casino, che aumentava a causa dei soliti ragazzi di strada i quali si divertivano di nascosto a strappar le penne della coda ai capponi, e questi strillavano come dannati. Tale baldoria durava fino all'ora di pranzo. Quando poi alle dieci di sera cominciavano a suonar le campane delle chiese per la messa della notte, le strade si riempivano per andare al Duomo, in Santa Maria Novella, in Santa Croce, a San Lorenzo oppure in Santo Spirito ma soprattutto alla Santissima Annunziata, nella quale accorreva più gente che altrove, perché lì la messa era in musica e pareva un teatro invece di una chiesa.
Finite le messe tornavamo a casa allegri e ridenti; invece nell' '800, la maggior parte di noi devoti moderni, invadevamo tutte le botteghe dei "bozzolari", oggi si dice pasticcieri, in Via dei Calzaioli, e dal Melini in Lungarno Acciaioli oppure al Ponte Vecchio, per mangiar la "stiacciat' unta" calda, che in quella sera speciale era d'obbligo. Si trovavano comitive di ubriachi, che cantavano a squarciagola, senza però molestare nessuno, insomma facevamo gli affari nostri. Il giorno di Ceppo c'era la presenza in Duomo, col Granduca e la Granduchessa che andavano alla messa, ipocriti loro odiavano quelle cose, erano fintamente solenni e usavano le carrozze di gala e le guardie nobili, finito tutto questo le famiglie e i parenti si riunivano a tavola per mangiare il cappone tradizionale. La sera molti rimanevano in casa a far la tombola, o divertendosi immensamente all'onesto giuoco dell'Oca. Cosi finiva il Giorno del Ceppo ed il giorno del Santo Natale e mi dispiace se queste poche parole non riescono a descrivere in che modo vivevamo, il tempo sfioca ciò che desideriamo ricordare; spero che un'idea ve la siete fatta ma soprattutto vi siate divertiti a leggere.
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con una capigliatura folta e arruffata: quando i bambini lo battevano con dei bastoncini, faceva cadere su di loro dolci e regali. È una scena che ricorda la bacchiatura di un albero da frutto e da qui all'albero di Natale il passo è breve. Inoltre una delle ritualità seguite per avere i doni era anche quella più comune: il padre, o il nonno, battevano sul Ceppo un bastoncino dicendo:
Ed ora, cosa cade per Pierino?
E subito cadeva il dono destinato a quel bimbo.
E ora, cosa cade per Paolo?
E subito cadeva il regalo per Paolo. ecc. ecc.
Molto spesso le tradizioni accompagnano delle necessità, ed una necessità dei periodi freddi è quella di riscaldarsi e illuminare la casa. Quella del ceppo di Natale era una tradizione molto diffusa soprattutto in passato. Nella notte di Natale si accendeva nel caminetto un grosso ceppo. Il ceppo, di quercia o di ulivo
secondo le diverse tradizioni, doveva poi riscaldare e dare luce e accoglienza fino a Capodanno se non fino alla Befana. Il ceppo aveva un significato simbolico: si bruciava il passato e, dal modo di ardere del legno, si cercavano di cogliere i presagi su come sarebbe stato il futuro. Talvolta poi le ceneri venivano sparse sui campi per garantirsi buoni raccolti. Da questa antica tradizione deriva l’usanza di confezionare dolci tipici natalizi di cioccolata a forma di ceppo in alcune zone d'Italia. Il tronchetto di Natale della forma di un tronco d’albero tagliato spesso è presente sulla tavola imbandita di Natale accanto al panettone e al torrone. Comunque anche a questa antica tradizione sembra risalire l’utilizzo di luci decorative nelle case e nelle strade nel periodo delle feste natalizie.