Ginevra degli Amieri, morì, resuscitò ed infine sposò chi volle

A Firenze, in un palazzo di via de’ Calzaiuoli d’angolo con via delle Oche, verso la fine del 1300 abitavano Francesco Agolanti e sua moglie, Ginevra degli Armieri (o Amieri).

Aveva 18 anni la bellissima Ginevra, e da sempre era innamorata – ricambiata – di Antonio Rondinelli; ma suo padre Bernardo, come s’usava allora, l’aveva destinata sin da bambina al più potente e ricco Agolanti. L’accordo tra i due genitori fu concluso nella Loggia degli Agolanti, poco distante dal Canto degli Agolanti (dove oggi sorge l’angolo tra via de’Tosinghi e via Roma), luogo solitamente adibito dai fiorentini a concordare i matrimoni, tanto da essere conosciuto anche come “Canto del Parentado”. 
Pochi mesi dopo il matrimonio scoppiò una terribile epidemia di peste. Anche Ginevra si ammalò, ma non di peste bensì di qualche strana febbre violentissima che la fece cadere in una sorta di coma profondo.
I parenti, pensando fosse morta a causa dell’orribile nonché contagiosissimo morbo, dopo la cerimonia funebre, il corpo fu disteso, in mezzo ad una confusione orrenda di scheletri, nel sepolcro della famiglia degli Almieri all’interno del cimitero che in quegli anni sorgeva accanto al Campanile di Giotto
Dopo qualche ora Ginevra si svegliò; immaginate il suo terrore nello scoprirsi sepolta viva…
Ma fu proprio il terrore a darle la forza disperata di sollevare la pietra del sepolcro e di fuggire nelle strade immerse nella notte fiorentina.
Era ottobre, gelida la notte rischiarata soltanto dalla Luna piena.
Ginevra, vestita soltanto di un candido e sottile sudario, percorse nel buio una stradina stretta stretta, che dall’Arciconfraternita arriva in via delle Oche – e proprio per quel fatto la stradina si chiamò a lungo via della Morta o della Morte, mentre oggi si chiama Via Campanile .
Arrivò alla casa del marito bussando fortemente al portone ma Francesco, affacciandosi e vedendola, pensando a un fantasma si spaventò cacciandola via dicendo : “Vattene anima inquieta! Ti prometto delle messe in suffragio, ma scompari per sempre!”
Allora Ginevra andò alla casa del padre ma pure lì venne cacciata dai genitori terrorizzati; si quindi trascinò alla casa dei parenti della madre, ma questi addirittura fecero gli scongiuri barricando porte e finestre.
Stravolta, in preda alla febbre, esausta, Ginevra riuscì infine ad arrivare alla casa di Antonio Rondinelli e il giovane – senza porsi il minimo problema – corse immediatamente per strada, la prese tra le braccia accorgendosi che non era per nulla uno spettro e la condusse all’interno del suo palazzo.
Dopo aver spedito immediatamente un fidato servo a richiudere la pietra tombale in Duomo si dedicò, con l’aiuto della madre e di un medico amico, alla cura della sua amata, che ben presto guarì.
Dopo sei mesi Ginevra ricomparve in pubblico, bellissima, sana e felice, nonché sposata col suo Antonio.
Subito il marito Agolanti reclamò i propri diritti, e così tutta la famiglia Armieri; il caso, che i parenti della donna denunciarono come abbandono del tetto coniugale e bigamia, finì di fronte al Tribunale Ecclesiastico.
Ma la sentenza della Corte, straordinariamente intelligente e illuminata per l’epoca, decretò che Ginevra, essendo stata considerata morta da tutti e da tutti poi cacciata via, era divenuta padrona assoluta di se stessa e quindi liberissima di vivere come le pareva e, soprattutto, di amare chi voleva.
La storia è stata oggetto nei secoli di varie novelle e di un'opera di Leopoldo Marenco.