Caffè a Firenze, scomparsi e non dell'800

Prendere il caffè al bar è una tradizione molto radicata nei fiorentini, anche se oggi è molto snaturata, vuoi per il costo un po' alto per la profumata bevanda vuoi perchè Firenze è sempre meno dei fiorentini e più per i turisti. Chi è quel fiorentino che sta bene in mezzo a folle beeeelanti di turisti in coda alla cassa. "In illo tempore" prima si beveva il caffè e poi si pagava, ora non più possibile. Cosi mi è venuto il desiderio di scrivere qualcosa sui caffè fiorentini, molti dei quali hanno fatto la storia della mia città. Scriverò solo i nomi e dove erano allocati ed eviterò di parlare dei movimenti culturali che vi nacquero, e dell'importanza che ha per ciascuno di noi di stare in mezzo ad altri, ma poichè hanno scritto interi libri sull'argomento lo eviterò. Chi ha già letto le pagine di questo sito saprà che preferisco narrare "le note a piè pagina della storia, specialmente quella fiorentina, poichè, come tutti sappiamo, passano gli anni ed ovviamente invecchiando, si perdono moltissime cose". Piccole storie per gente comune.
 
Un cliente entra in un caffè... splash... una freddura, che cazzata... I Caffè chiudevano la sera alle undici e soltanto il Bottegone sul Canto di Via de' Martelli in Piazza del Duomo, poi Motta ed adesso è diventato un anonimo bar; l'antico proprietario Fortunato Carobbi, aveva il permesso di stare aperto fino alle due di notte “per comodo dei signori che uscivan dal teatro", gli altri teatri come il Niccolini o quello della Pergola e forse quello Umberto in Piazza d'Azelio, distrutto da un incendio, chiudevano molto prima. Come dimenticare il famoso bar, di fronte al Bottegone, "liquoreria Falchetto", aperto nel 1869, dove i fiorentini acquistavano e degustavano liquori nazionali ed esteri, ma soprattutto per gustare il "vermutte" una grande novità in quel periodo. Venivano venduti anche strani intrugli, come l'elisir dello speziale Tommaso Martini, in vendita nel 1805 nei Caffè dell'Aquila (presso piazza del Duomo) o della Rosa (in piazza S. Giovanni). Il Cornelio, via Brunelleschi, era una elegante e spaziosa baracca di legno ed era molto popolare a Firenze, Il locale fu demolito a seguito di un furioso incendio prima del 1896. Al suo posto, anni dopo, con ingresso da via de' Pecori, sorse uno stabilimento di bagni e servizi igienici a pagamento, a sua volta demolito agli inizi degli anni Sessanta. Come non ricordare il caffè Michelangiolo a Firenze si trovava in via Cavour al civico 21, qui si riunivano quei pittori chiamati "Macchiaioli", quasi tutti toscani, che con le loro "macchie" rinnovarono l'estetica pittorica. Andando verso Piazza San Marco all'angolo di via Cavour, come non ricordare il Caffè Fanti, freguentato da docenti universitari e studenti. Il Caffè Doney era il principale di Firenze, il giorno e la sera era freguentato da la nobiltà fiorentina, ma la mattina presto  vi si fermano a prendere il caffellatte col 'semel' imburrato le contadine del contado dirette al Mercato Centrale. Mentre il genero, Giacomo Thompson, di origine inglese, apriva il Caffè Ristorante Doney nel cortile della Palazzina Reale della Cascine. e anche quello di Wital in Via Por Santa Maria al Mercato Nuovo, chiuso dopo il 1880, non era fra i minori proprietari invece del caffè-emporio  “L’Elvetico” di  Borgo degli Albizi e dei negozi di alimentari in San Marco vecchio e in S. Andrea in Percussina a Rovezzano. Altri caffè “svizzeri” erano “L’Elvetichino” di piazza Duomo, “Il caffè degli Svizzeri” in piazza Santa Croce,  l’elegante “Bottega dei Pani Dolci” di via Calzaioli di proprietà della famiglia Gilli e il Caffè Ferruccio, poco lontano, aperto fino a notte tarda; il Caffè 'delle Alpi' in piazza S. Maria Maggiore, aperto tutta la notte. Sempre nella stessa strada si trovava il Caffè Elvetico, e l'Elvetichino era in Piazza del Duomo. Gli altri Caffè più frequentati e di una certa fama, erano il Caffè Landini in Via del Proconsolo, il Caffè Bellocci e il Leon d'Etruria di Vincenzo Galanti in via Calzaioli, 
 

Caffè Gambrinus, Zoom
Alla fine del secolo era di grande moda il caffè-ristorante Gambrinus, ispirato al modello delle birrerie tedesche, aperto dal polacco Karol Paszkowski, uno dei pionieri dell’industria della birra in Italia, che gestiva oltre il Gambrinus Halle e anche il famosissimo Caffè Concerto Paszkowski, ancora oggi presente nell’attuale piazza della Repubblica.

 

Quello della Vacca dei fratelli Boni in Via dell'Oche, molti proprietari di caffettieri erano svizzeri come i Pult proprietari del caffè Giappone in Piazza del Granduca ora Piazza della Repubblica, il Caffè dei Fachiri in via Roma, si chiamava cosi perchè era freguentato da chi viveva su' i chiodi, detto che significa vivere con i debiti, in origine i nomi dei debitori venivani ascritti su un libro con un chiodo incastrato, in questo libro ci leggiamo anche il nome di Dante Alighieri, usato come scusa per mandarlo in esilio. Ci sono poi i bar dell' Orlandini in Via della Ninna e il Caffè dell'Arco presso il Ponte Santa Trinita. Il più antico Caffè di Firenze era il Panone in Via Por Santa Maria, invece di fianco alla chiesa di Orsammichele, c'era l'ingresso di un bar, il caffe Castelmur, oggi scomparso, qui il 17 marzo 1848, seduto a un tavolo l’avvocato Carlo Alberto Bosi scrisse di getto il Canto del Volontario: tre giorni dopo Bosi donò quel canto al primo battaglione dei volontari fiorentini che partiva per andare a combattere al fianco dei patrioti del Lombardo Veneto. Da allora sappiamo cantarlo tutti, ma lo conosciamo con un altro nome: Addio, mia bella, addio. Fra i più modesti si notavano il Caffè de' Filarmonici in via del Fosso, del Popolo in Piazza di San Piero, quello degli Svizzeri in Piazza di Santa Croce, del Pruneti in via de' Benci, e l'altro dalle Colonnine da Sant' jacopo. L'antico Caffè Guarnacci in via del Proconsolo, era rinomato per le orzate nell'estate e la sera vi era una grande folla della nobiltà che vi si fermava creando una lunga fila con le carrozze per gustare quella bibita cosi amata, ma che oggi a Firenze è uscita di moda. Vicino alla casa di Dante, con uno sporto in Via Dante c'era il famoso bar Centrale in piazza Cimatori, con una saletta attigua dove si cantava e per questo chiamato anche dell'Armonia. Nelle strade dove abitava il popolo minuto e specialmente in San Frediano, in Via dell'Orto, del Leone, della Nunziatina, del Campuccio, in Gusciana, nei Camaldoli di San Frediano, in Via Gora verso il Prato godendo nell'estate lo stare nella strada sugli usci delle case a prendere il fresco, mettendo in cerchio le seggiole e, data la povertà del popolo di' là d'Arno erano mezze spagliate, se non sfondate, ma nonostante tutto la gente era allegra e di buon umore. Il più delle volte però, qualcuno fra i più istruiti si metteva a recitare poesia, facendo così, l'ora di andare a letto, procurando un gran dispiacere a tutti coloro che erano li per divertirsi. Questa era la vita che piaceva alla gente più povera, stranamente una vita invidiata dalla gente più facoltosa, perché pensavano che quelli avessero una salute di ferro e senza pensieri. Era in voga tra i popolani il detto, che “i debiti vecchi non si pagano, e i nuovi si fanno invecchiare”, perciò vivevano alla giornata. Il ceto medio invece andava, di consueto, a prendere il fresco passeggiando per il Lungarno e molti si mettevano a sedere su panche di legno con la spalliera lungo le spallette del Ponte Santa Trinita pagando qualche soldo al "pancaio". I più ricchi, specialmente per le feste, andavano invece a prendere il sorbetto al limone, molto di moda al Caffè dell'Arco o Caffè d'Italia aperto nel 1860, sull'angolo del palazzo Ferroni, così chiamato in memoria dell'Arco di Santa Trinita buttato giù. Questo caffè era il ritrovo elegante nell'estate, e si mettevano i tavolini fuori tanto dalla parte del Lungarno che da Via Tornabuoni. La semplicità della vita fiorentina, che non ha niente a che vedere con la vita politica, non era soltanto nel popolo, ma anche nella nobiltà e alla Corte Reale. Non fraintendiamo, la differenza dello stato sociale era forte e sentita ma le sere d'estate le differenze si accorciavano, e chiunque poteva incontrare il Granduca mentre passeggiava e salutarlo come un "normale cittadino". 
 
Per salvaguardare i cittadini che, «stanchi delle occupazioni diurne cercano quella calma che hanno diritto di avere», il gonfaloniere nel 1849 cercò d'impedire che «nelle prime ore della notte» i caffè fossero invasi «da gente vagabonda che va limosinando di bottega in bottega col frivolo pretesto di suonare vari strumenti». 
 
In alcuni di questi luoghi appena citati, erano freguentati da molte persone divenuti famosi in tutto il mondo, ed hanno scritto, nel tempo di bere un caffè, opere indimenticabili... questa era la mia città... la sarà ancora?