La Romanina, lei cambiò il costume italiano

Non pensate male di me perchè ho messo la Signora Cecconi sotto il link "curiosità", quello che conta e vale è inserita in "personaggi leggendari o quasi." La signora non l'ho mai conosciuta personalmente, anche se l'ho vista molte volte nella zona di Santa Croce nei lontani anni 70. Dopo questo anticipo voglio esprimere la mia ammirazione verso una persona che lottando in quello in cui credeva, pagò sulla sua vita le molte sofferenze. Bisogna ricordare chi con le proprie azioni provano a cambiare il modo di pensare in una società vecchia e bacchettona. Dopo di lei molto cambia e troppo si dimentica. 

Caso fortuito, comprai all'usato una autobiografia, pubblicata oltre trent'anni fa da Vallecchi, di Romina Cecconi dal titolo "Io, la Romanina: perché sono diventato donna". Romina, era nata Romano Cecconi da Lucca, il 4 luglio del 1941. E sempre a luglio rinacque donna, nel 1972, dopo un'operazione a Losanna. Fu tra le prime in Italia a rivolgersi al chirurgo per ottenere l' identità che da sempre sentiva più sua. Ma fu soprattutto l'unica a non vergognarsene affatto e a rivendicarne la scelta alla luce del sole. 

Pagò la sua voglia di libertà con violenze, processi, carcere e persino il confino per tre anni a Volturino in provincia di Foggia. Aveva dovuto addirittura citare in tribunale l'anagrafe per poter avere dichiarato il sesso "F" sulla carta d'Identità. Creando un precedente che avrebbe cambiato le leggi italiane. Cosa poi ampliata al diritto di potersi sposare un uomo legalmente. Capitanando cortei ed interviste televisive con le sue "colleghe" quando gli oceanici Gay Pride di oggi non erano nemmeno immaginabili e detto franoi sono di dubbio gusto. 

Pero lei tutti la conoscevano per averla vista, nel 1975, ed intervistata in tivù nello speciale di "Odeon", diretto da Mauro Bolognini. Apparteneva ad un tempo in cui chi nasceva in un corpo sbagliato aveva solo due scelte: il palcoscenico o il marciapiede. Come emulo del francese Coccinelle, l'Uomo-Donna come la definì la locandina dello spettacolo itinerante, il famoso Circo Gratta in cui si esibiva Romina, ed ebbe la carriera stroncata da un parroco di paese che tuonò dall'altare "In quel circo c'è un diavolo tentatore" e poi chiamò le forze dell'ordine. Così finì a fare sexy-struscio su e giù per Via Tornabuoni a Firenze con amanti occasionali che regalavano denaro e "poliziotti che la multavano per travestismo". Per pagare più di 300mila lire (nei '60!) di multe accumulate, finì da "professionista" sul Lungarno col nome d'arte di Romanina.

Il Vernacoliere, famosa rivista satirica livornese tutt'ora in edicola, definita "La donna pipistrello: metà topa metà uccello". Stanca di prendere botte dalla Polizia e dai clienti, un giorno dopo una rapina, compiuta da persone a lei note, decise di denunciare il colpevole. Fu così che arrivando in tribunale entrò da vittima ed uscì da condannata a non vestirsi più da donna e non varcare più la soglia di casa dalle 9 di sera fino alle 7 del mattino dopo. Coprifuoco violato assiduamente. 

Nuove denuncie e processi fecero scattare la pena estrema: il confino come "persona socialmente pericolosa". Ma lei prima d'essere arrestata espatriò in Svizzera per operarsi. Dopo l'operazione si auto denunciò, arrestata venne trasferita nel foggiano, qui si finse "assassina per motivi d'onore" per conquistarsi la stima degli indigeni, il lato ironico e che la scambiarono per una "femme fatale". 

Quando scese dalla corriera, tra donne in nero e polli starnazzanti, il paese intero rimase sbalordito, "S'aspettavano Romano, arrivai io: Romina", minigonna inguinale, stivali neri sopra il ginocchio, occhiale scuro, permanente platiné: "Ero meglio di Patty Pravo". Lo sbarco di Romina Cecconi a Volturino di Foggia, dove una pudibonda Repubblica Italiana l'aveva spedita al confino al pari d'un mafioso, fu più o meno come l'arrivo di Boccadirosa nel paesino della canzone di De André. 

Ancora di più, tre anni dopo, la partenza: "Ero diventata amica di tutti, per qualcuno anche di più...". Questo è stato il '68 di Romina, per tutti "la Romanina". E non fu meno rivoluzionario di quello dei cortei che oggi imperano per le strade con evidente cattivo gusto. Romina Cecconi non è stata solo una delle primissime transessuali italiane a chiedere al chirurgo di renderle l'identità che da sempre sentiva sua. È stata anche la prima a non vergognarsene, facendo della sua scelta una bandiera di libertà.

Ha molti incontri con personaggi di ogni tipo, ma uno di questi lo cita nel suo libro: in Svizzera conosce , nel 1972, il principe Vittorio Emanuele di Savoia. Lui trentacinquenne, sposato religiosamente da meno d'un anno con Marina Ricolfi-Doria e da solo un mese padre del piccolo Emanuele Filiberto, dimostrò tutta la sua spiccata propensione a frettolose ed irrefrenabili relazioni adulterine, come da scandalo di qualche anno fa denominato "vallettopoli". Un estratto dal libro: CONTINUA